Maria Chiara Arduini e la ricerca del sì

di Flaminia Colella

Maria Chiara Arduini, Cercare ovunque terraferma, Jaca book edizioni 2021

“Ho trovato che va bene guardarsi negli occhi/ va bene correre senza arrivo/ ma serve il principio – mi basta/ un’ombra del mio destino”.

Che bello trovarsi all’inizio del cammino di un poeta. Al suo principio.

Sentire come accorda i suoi strumenti, come accarezza le note che gli serviranno per suonare la sua melodia. Maria Chiara Arduini, con la sua opera prima “Cercare ovunque terraferma” edita da Jacabook edizioni, ci indica un sentiero di ricerca, non di convinzioni, non di certezze. Ci introduce, con il titolo eloquente della sua raccolta, a una mappa che procede in forma interrogativa, come un moto di onde che si gonfiano e distruggono all’interno della vicenda umana per come la poetessa la patisce e ne gioisce.

Ci sono tante domande, alcune dirette a un preciso interlocutore, che viene nominato espressamente, altre rivolte a volti lontani, vicini grazie alla sua penna che ce li mostra, di volta in volta, come “pellegrino”, “amore”, “amico”. La poetessa ha coraggio per affermare e denunciare: “diciotto anni senza amore è un dio/ che smette di creare il tempo”. Si agitano sul fondo della materia viva che ha germinato questo libro le domande fondamentali che l’uomo si pone da millenni, la contesa tra l’essere e il nulla, tra la forma e il vuoto, tra il caso e il destino, tra la gioia e il patimento. È bello seguirla nella strenua lotta, nelle lacrime, nelle mani che stringono il niente alla fine dell’amore. È bello perché riconosciamo e conosciamo la vita nelle sue movenze più elementari. Elementari eppure assiali, quelle più strazianti. Ce le ritroviamo in questo libro, con sfacciata arroganza, di nuovo di fronte e ci costringono a ripassarle nella memoria, a perdonare qualcosa, qualcuno, magari. La poesia è vera quando ha di questa energia nel suo nucleo: non dice semplicemente, non racconta, fa riaccadere tutto.

La poetessa scivola attraverso il mondo con un parlato in versi a volte così chiaro da arrivare all’altezza del respiro, da sentirlo come inesprimibile se non con quei versi che dicono, poi non dicono, tornano indietro come risucchiati nel vortice del non saputo e della paura, poi si riaffacciano con sorprese che sanno di epifania e rivelazione. “Partire di fretta è come non partire/ ma abitare il mondo senza poesia/ non bere il caffè, berlo senza zucchero/ il giorno è sempre qui e non è mai stata/ la notte della verità e del tramonto”.

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