di Daniele Cavicchia
Maria Benedetta Cerro, Prove per atto unico, Macabor 2023
Chi scrive è convinto che ogni poeta sia in compagnia di un clone, separato ma non lontano, sentinella vigile e razionale suggerisce il viaggio nella parola, apre sipari a volte logori e segreti, suggeriscono, nel loro doppio, una fine o un inizio. La morte potrebbe essere un nuovo inizio? Non è dato sapere, di certo una fine già stabilita. Ci si chiede quante volte muore un poeta, e se la parola non sia da leggere come un lutto, una separazione che la pagina complice rivendica. La coscienza del doppio sgomenta, evidenzia ferite appena rimarginate, compagni di viaggio in atterriti paesaggi, in vicoli dove ci si perde, una luce appena intravista, come un vaticinio non compreso.
Ma ogni viaggio, inteso come ritorno, è sempre in noi, in quella sfera che ci contiene, ruota, srotola, ricompone, se il verso si propone e il poeta, innocente, ubbidisce. Ma questo chi scrive lo ignora. “Per chi si cerca e non sa/ che il sé stesso è nell’altro”. Abbiamo detto del clone, l’altro noi in attesa di altre domande e di mancate risposte, ben sapendo che ogni domanda è lecita. “Prevale la visione/ fino alla visione". Prova maiuscola della Cerro, cesellata da uno scalpellino a volte sgomento eppure certo nella forma, sgomento perché si teme il compiuto che mai è il perfetto. “Un lillà fiorito appena/ e all’opposto il glicine fastoso/colori uguali con diversa lingua". Già, una diversa lingua. Ma non è forse vero che ogni argomento ha la propria lingua? Di quale pace abbiamo bisogno? Raggiungere l’altra sponda su un ponte che a volte scricchiola? Altri sapranno; la brevità della poesia apre mondi percepibili come messaggi sottovoce; l’oltre non ha colori, forse un indice puntato come ammonimento: cerca, cerca, e se non lo trovi, cerca ancora. Non sono un critico, tantomeno un poeta, forse solo un tentativo, e in questa veste che mi sono introdotto negli spiragli che la poesia della Cerro permette. Già, il compiuto che si teme. Ma quante volte ognuno di noi è risorto dalla propria morte? Cosa è reale? Di certo, due cose: la nascita e la morte, di cui siamo inconsapevoli. Un poeta ha scritto “Se parlerete di me/ direte della mia esistenza". Anche esistere nel dubbio è un persistere.
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