di Melania Panico
Luigi D’Alessio, Louis, RPlibri, 2017
Ma non perdiamoci in Louis. Ovvero perdiamoci in Louis. Nel libro.
Anche l’autore vorrebbe farci credere che un nome è tutto.
Ma qui è chiaro che la Scrittura è tutto.
Come il perdersi della trama nella contemporaneità quando la trama non ha più senso di esistere. Louis è scrittura e bellezza e memoria.
Quando la Scrittura diventa indipendenza e sopravvive alla trama e all’autore. Se è vero che la poesia è fare in modo che le parole abbiano una propria indipendenza, se è vero che poesia è ridisegnare il linguaggio.
In alcuni momenti il lettore è preso da un senso di spaesamento: chi sta parlando, Louis o l’autore? O si tratta della stessa persona? Ma cosa importa? Non è questo il punto.
Mi viene in mente Izet Sarajlić quando dice: "Sopravviveremo a noi stessi, non solo nel tumulo delle nostre tombe,/perché abbiamo saputo, abbiamo saputo, teneri e superbi,/ fuggendo dai coltelli e dalle granate uccidere gli angeli in noi/continuando a restare angeli".
Louis è un libro sulla scoperta dell’autenticità, sull’ideologia. È un libro sulla riflessione sull’identità. È anche un libro in cui ci sono delle risposte: la cosa incredibile delle risposte è che non le vedi fin quando non le vedi.
Louis è un libro sul tempo e sulla diffrazione del tempo: "Ogni volta Louis/ si sentiva dire dentro/ che nessuna storia /era al sicuro nel sonno".
Louis ci spiega cosa sia l’attesa: "L’attesa/ – mi convinse Louis non è mai Attesa./ È sempre un presente in divenire".
Louis ci parla un po’ di sé ma non troppo. Ce ne parla abbastanza da poter capire che i padri sono morti e l’amore è l’onore di essere paragonati a un albero. È imitare Icaro.
Poi a un certo punto ti rendi conto che Louis è un libro che può essere letto dalla fine all’inizio. A dimostrazione del fatto che la fine non è sempre un dramma: la fine è una esperienza come un’altra. E dentro tutto questo c'è amore, musica, storia di un amore raccontato attraverso Miles Davis. C'è Montale, Rosselli e Igor Stalkoevkij (che non esiste).
Louis disse. Disse Louis. Louis mi guardò e disse. Louis alla fine non disse niente. Si guardò da solo e si riconobbe blocco di marmo michelangiolesco.
Si guardò e si riconobbe. Poi ci riconoscemmo anche noi.
Louis scoprì
di avere il dono
non da me posseduto.
Vedi – mi disse Louis
se si rompe un oggetto
si infrange il simbolo
di un mio piacere
e insieme dei miei interessi.
È una cosa che sta lì
– proseguì Louis
al posto del parlare
dice a chi sa poco di me
l’intendere di me. Poi
Louis sospirò: È il destino
che di noi hanno gli oggetti.
Louis prese Le occasioni.
In treno si accorse dell’errore:
nello zaino c’era Le rimembranze
di Igor Stalkoevkij.
Louis incominciò a leggere
quello che anni prima
aveva già letto.
Chiuse il libro.
Guardò dal finestrino.
Dalla rilettura
Louis capì che nacque
solo perché sua madre
aveva bisogno di essere
da qualcuno ricordata.
Louis era molto dubbioso
sul Sempre. Preferiva l’Oltre.
Si salutarono
per l’ultima volta.
Louis mi disse
che ci fu un’altra ultima volta.
Louis aggiunge che
ci fu un’ulteriore ultima volta
della penultima volta.
Allora Louis si chiese
che senso avesse l’eternità.
Quell’agosto
c’era una luna bassissima.
Louis disse che dovevano
sollevare la testa dal cuscino
per poterla vedere grossa e rossa
nella ringhiera del balcone.
Louis in un sostegno di romanticismo
le sussurrò, Amore è il mondo
salito in cielo per noi.
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