di Teresa Murgida
Lorenzo Mele, Casa mia non ha le ringhiere, Ensemble 2020
La casa di Lorenzo Mele rappresenta un non luogo, uno spazio dilatato che contiene innumerevoli stanze. Questa è abitata dai versi che aleggiano nei corridoi, nelle crepe, sulle sedute dei divani, si aggrappano agli intonaci. Lorenzo Mele alterna, nella sua poetica, zone d’ombra ad ampi coni di luce; lo fa con la maestria di un moderno Caravaggio. È proprio in questa gradazione di grigi e nitore che si intravvede la casa del poeta. I versi si alternano in un filare di sentimenti e sensazioni che preparano il lettore al grande salto nel vortice dei ricordi e dell’intimità.
Hanno chiamato il mio nome,
mamma papà e io entriamo.
Siamo soli in questo branco di sedie,
il magistrato ho paura che mi porti via.
E piango sulle gambe di mia madre
ho paura tra le braccia di mio padre
Lorenzo Mele non ha timore di mostrarsi in questa poetica dell’anima, non nasconde i ninnoli preziosi, ma neanche le increspature e le screpolature sul soffitto.
casa mia non ha le ringhiere:
è un giardino senza alba,
un ramo che scorre verso il mattino
Se nella prima parte della raccolta il poeta si espone e ci espone all’inquietudine dei ricordi e delle sensazioni, che affondano la punta del pennino nella dolorosa reminiscenza, ma con il bagliore della fiducia; nella seconda parte Mele affronta di petto il passato, lo rincorre, lo riconosce e ce lo presenta. La parola madre è scritta ad ogni primo verso, pronunciata a fior di labbra, recitata come un mantra taumaturgico. Ed è proprio alla figura materna, intesa come ancora e medicina, a cui il poeta si aggrappa, quella figura che più di ogni altra dispensa amore e ne toglie.
Mia madre non vuole morire.
Nella sua pancia di bile
navigano pesci e creature strane.
Prima di andare a dormire
spera di partorire
i suoi nuovi figli di acqua e sale
i futuri guardiani del mare
Cosa lascia questo libro?
Una scintilla di speranza, una briciola di pane sulla finestra.
Lascia dentro al petto una fiammella luminosa con cui scaldarsi e fare luce sul passato.
Un piccolo scrigno di versi medicamentosi con cui curare i graffi.
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