Lorenzo Calogero, Poesie scelte 1932-1960, Lyriks, 2024
di Davide Rondoni
"Una poesia come quella di Calogero fa paura", afferma al termine di esatti, spietati appunti di poetica Aldo Nove, prefacendo una corposa antologia che un editore illuminato, Lyriks, ci offre, con la copertina impreziosita da un omaggio di Emilio Isgrò. Il lavoro, paziente e erudito, è a cura di Nino Cannatà, e porta la traduzione in inglese di John Taylor. Dunque volume che è atto di giustizia rispetto a molto silenzio subito in vita e dopo dal poeta, che pure ebbe riconoscimenti importanti, da Caproni a Montale, fino all'inclusione nell'antologia che presumeva (fallendo) di dare un canone alla poesia del Novecento italiano, quella di mondadoriana di Vincenzo Mengaldo.
E indubitabilmente l'opera di Calogero ha attratto per qualità e forza, e ben al di là delle vicende personali del poeta, lettori attenti e generosi, dal primo di rilievo che fu Leonardo Sinisgalli, fino ad Alfredo de Palchi a New York, a cui Taylor giustamente accenna nella sua nota. Si ricordava recentemente in un incontro con Cannatà la segnalazione che feci della poesia di Calogero in un articolo su “Il Sole 24 Ore” (che nel volume non è però citata) come di un raro segno d'attenzione in questi tempi. Ma ora che appunto il tempo della critica paludata che presume canoni, il tempo delle editrici "importanti" di poesia, delle mediazioni sussiegose, ecco nella selva della poesia italiana la poesia di Calogero che fa paura come dice Nove. E lo fa, aggiungo, per bellezza, nitore, sincerità lirica.
"...come era desto il mattino e in fiore
sulle tue labbra..."
dice uno degli ultimi testi scelti. E altrove
"tu guardi al colmo
degli splendori"
Permettendomi una colpevole sintesi, che spero funga da invito ad affrontare la lettura del volume, cospicuo e pur lievissimo, direi che pochi come Calogero hanno il senso terribile e luminoso della "alterità". Altro che poeta solitario e nascosto. Era un ramo vibrante di tutti i cieli e tutti i passaggi. Sapeva far sostare incanto e nostalgie in versi mai grevi e pur saporiti. Mai sentimentaloidi, ma lirici. E sarebbe necessaria al proposito la lettura di questo libro di Calogero per coloro che scambiano le due qualità e ci affliggono con cosucce querule e narcise.
Basterebbero certi inizi come:
"Camminavo per infiniti campi
a l'altezza del sole..."
per distinguere quella qualità che dall'editore Lerici a Solmi a Betocchi, fino a oggi continua a esser riconosciuta. E mentre oggi molti scambiano la poesia con la propria fragilità nervosa, stanca ed egotica, Calogero continua a darci una poesia che quella fragilità trascende portando all'universale le proprie visioni come dono fresco e potente. Ed è un dono prezioso.
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