L’esordio dantesco e attuale di Pietro

Pietro Cagni è diventato poeta per una vita dove abita l’esagerazione della bellezza e quella del dolore. Forse dev’essere sempre così, ci deve essere questa doppia radice, questa doppia spada, nella vita che genera i poeti. Ma alcuni ne portano il segno addosso da subito, come certi recano in corpo un segno dalla nascita. E la portano, questi alcuni rari, con un corpo di poesia subito misteriosamente pronto. In un primo libro questo si vede. E in quello di Cagni si vede, e quasi stordisce, come di fronte a un che di irrefutabile, di indiscutibile. Non si tratta di non vedere -in una prima prova- eventuali e pur qui rare debolezze, imperfezioni o cadute. Ma di notare la pasta, la “stoffa”, la grana. “Adesso è tornare sempre” è un titolo enigmatico per un meno che trentenne e per le sue poesie che sono lampi di incontri, visioni, brevi scambi.  Tornare dove ? Non si dovrebbe a quella età salpare definitivamente ? Staccarsi dall’adesso ? Cosa si agita segreto e splendente in questo libretto pubblicato dal poeta-mago Scandurra, nella Sicilia rianimata dai ragazzi del centro di poesia di Catania? Forse il segreto di Cagni, poeta dotato di scarti visionari, di condensazioni rapidissime, sta nel contrattempo. Lo è dal punto di vista stilistico, con quei versi spesso franti, raramente lunghi più di endecasillabi e comunque abitati da enjambement, da dislocazioni nello spazio, da contraddizioni ( ad esempio si prenda il testo “Ho Bologna addosso” dove Cagni tra l’altro mi ritrae in modo insolitamente candido).  Ma il contrattempo è qualcosa che abita il tessuto profondo, la geografia degli amori, dei rapporti, delle sorprese, e del dolore. “L’adesso” del titolo è un movimento che tende a un tornare e che nel terzo termine “sempre” trova una sorta di dismisura, di contrasto assoluto, di entrata in una dimensione del tempo spaesata, o meglio, dis-ordinata, catturato in un diverso ordine ed energia. Come è possibile che il “tornare” unisca “adesso” e il “sempre” ? Di che movimento si tratta ? Questo movimento appartiene allo sguardo del poeta che fissa profili fuggenti, spesso dolorosi, a volte veri e propri schianti (come nel caso delle poesie dedicate ad Alberto, il fratello). Non credo si tratti di un movimento a ritroso. Questo poeta che ha viaggiato, che viene da una terra che al tempo stesso e centro e periferia, non è certo uno che sta “tornando”. Nè un nostalgico, nè un rimpianto, ma una tensione come di un ritorno sempre al centro, al punto che davvero unisce l’adesso e il sempre. La torsione di cui si parla è un tornarsi, un con-vertirsi, un azione che indica la natura dello sguardo. Di uno sguardo al quale è sempre necessario tornare in un punto, in una posizione,  perché l’adesso  ( il momento, il frammento, la spalla nuda, gli occhi del fratello, di altri spettri amati) non si perda nel mai, bensì sia poeticamente sorpreso nel sempre. Cagni è poeta dantesco, non solo per speciale patrimonio personale di studi, ma per questa natura del lavoro poetico come perfezionamento della volontà e dello sguardo. Tale punto a cui “tornarsi” nel libro non è dichiarato ma presentissimo. La poesia ne porta i segni. Anzi ne appare complessivamente segno. E forse si comprende nuovamente quanto dicevo all’inizio circa le due radici, le due esagerazioni che alimentano il nascere del poeta. Sono quelle che nutrono la benzina della necessità del tornare. Perché il dolore e la bellezza possono ricadere su di sé e divenire la peggiore delle condanne, se il poeta, se l’uomo che è nel poeta non “torna” non volge lo sguardo a qualcosa che dia loro prospettiva e movimento di destino. La poesia è, come sapeva Eliot, il perfezionarsi di tale sguardo, secondo vie misteriose e spesso indicibili. Da questi sentieri, percorsi spesso in dura solitudine da poeti antichi e nuovissimi, vengono doni, presagi e segnali come questo prezioso libro di esordio.

Dr.

 

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