di Davide Rondoni
Piero Bigongiari, L'enigma innamorato, Vallecchi, 2021
Torna in auge Vallecchi, marchio editoriale di gran qualità letteraria. L'impresa si deve alla generosa dedizione di Isabella Leardini, al desiderio illuminato di imprenditori tra Santarcangelo (borgo capitale della poesia) e Rimini.
Torna però, secondo la sua radice fiorentina, con un libro prezioso e atteso: "L'enigma innamorato" una antologia delle poesie 1933-1997 di Piero Bigongiari, a cura di Paolo Fabrizio Iacuzzi, introdotto da Milo De Angelis.
Bigongiari è stato tra i primi maestri di noi di clanDestino, ci volle regalare un suo splendido inedito, Duffodils che si trova a pag. 293 del libro, e chi scrive ricorda con affetto e gratitudine i tanti incontri a casa sua e in giro per l'Italia. Era bello conversare con lo "zio" Piero, come lo si chiamava noi a vent'anni, si ricavava sempre un po' della sua luce inquieta e viva e si entrava con lui in questo enigma innamorato che dà il titolo, azzeccato, alla antologia e che viene dalla poesia di una raccolta postuma che pubblicai da Marietti (sempre a cura Iacuzzi) quasi come segno di una dedizione e di un rapporto che non termina. Il libro non solo ci restituisce l'opera di uno dei poeti più alti e vibranti del '900 italiano, ma sa farci assaporare quel che De Angelis chiama "la luce del paradosso e la lama della verità". Poeta curioso delle migliori linfe culturali, scrittore d'arte, e autore di saggi, traduzioni e di una storia della poesia del Novecento tra le più libere e acute, fuori da quelle schedature sorde che infatti fanno fatica a comprenderlo, Bigongiari mi parve subito d'un'oscurità bambina. Quella che ancora ritrovo, pur nel crescente corso del suo "poema", con una intatta forza e attrattiva. Intendo che la fervida meditazione, la sottile immaginazione, la sottigliezza di testacoda concettuali e la sonora delicata trama musicale dei suoi versi (in alcuni veri capolavori come "Col dito in terra") possono dare dapprima l'impressione di immergersi in acque dagli sfuggenti riflessi, e quasi di perdersi in rifrangenze e echi. Maestro di questa poesia che echeggia un altrove, che scandisce un tempo o non tempo segreto, così Bigongiari assolve con fedeltà al solo compito che ha riconosciuto alla poesia: essere ombra della verità, appunto, ovvero ombra di ciò che nel discorso umano, al pari di quelle parole segretamente tracciate da Gesù col dito in terra, sfugge per eccesso di mistero e di sovrabbondanza. Questo ha fatto per tutta l'opera, nei suoi chiari gorghi, nei suoi ritmi e controtempi celati in andamenti lunghi di verso e testi, mai contentandosi di facili seduzioni sentimentaloidi, ma, appunto, giocando molto seriamente come fanno i bambini, che sembrano compiere cose strane, e invece non sono usciti dal chiarore antecedente dell'evento chiamato vita, portandoselo addosso. Bigongiari e la sua poesia erano e sono così. E ci donano la densità oscura e luminosa di quel che chiamiamo presente, la sua dimensione più discreta e potente.
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