di Davide Rondoni
Enzo Ragone, Forme di attesa, Tullio Pironti editore
Libro duplice e refrattario, questo di Enzo Ragone, prefato da Achille Bonito Oliva e impreziosito dai quadri di Nicola De Maria. Parrebbe a una prima lettura un canzoniere d'amore, un viaggio nel tempo dell'amore tra stanze buie e ricordi, tra fremiti corporali e smagamenti del pensiero. E certo vi sono i versi della sensualità e dell'intimità incantata. Ma il lettore s'avvede che non è questo il piano unico del discorso, subito l'elegia amorosa è inquietata da interrogazioni che traversano il lirismo e si fanno battenti, feroci quasi, irrefutabili. E allora senza soluzione di continuità, il meditare interrogativo si fa vasto, profondo, intenso. Si chiede il poeta e chiede all'interlocutore affettivo, l'unico che può dare risposte o accogliere domande siffatte:
Ti chiedi
perché proprio ora
in questo tempo
che credevamo fosse
irrimediabilmente diventato liquido
il mondo si sia diviso
in due parti diseguali?
Da una parte c'è
la verità del frammento
che si fa parola al mondo.
Dall'altra frammenti di identità
che non trovano parole
per essere al mondo.
Un libro che ha pagine nitide, dolci e struggenti ("Nel buio della notte/ ritroverai nei miei occhi/ la luce nuda dell'infanzia") e che nella interlocuzione con un tu affettivo trova il coraggio delle domande estreme ("prima di rispondermi/ che è tutta colpa del destino/ ti prego però/ parla con il tuo Dio").
Un libro sfrontato, non solo per l'accensione e il viaggio dentro le tensioni di un amore forse impossibile, di un dolore di separazione fraterna e di nuovo livello di unione (come nella bellissima poesia finale), ma più ancora per la continua rincorsa di domande, primarie e incoercibili, a cui il poeta dà voce. Le poesie divengono "forme dell'attesa" di uno svelamento, che viene da dentro la vita, nei suoi momenti estremi. Siamo fatti di un altro tempo. Che coincide con l'eterno.
Il dettato è chiaro, il ritmo dato dal pensiero e dalle pause del respiro, non c'è grande lavorazione artistica. Ma la voce di Ragone, nel farsi cronista non solo della cronaca e della storia ma anche dell'altro lato dell'arazzo degli eventi, coglie i fili d'oro, le trame portanti, le cicatrici, i nodi.
E di questo sguardo, netto e vigile, abbiamo bisogno.
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