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Lauretano e la sua amata

Diario russo

 

Posso dire molte cose nuove

di aver fumato il sigaro

nella casa di Tolstoj

e recitato qualche frase di Cechov

sulla sua veranda

e pregato dove Zosima è sorto

dalla preghiera stessa di Fëdor

Michajlovič Dostoevskij.

 

Ma più di tutto amo dire

che la Russia mi ha tenuto a braccetto

nella passeggiata notturna di Mosca

parlandomi finalmente di sé

e sono ritornato a capire

che non sono solo, non lo sono mai stato

che basta un volto stanco che mi guarda

per rompere ogni velo.

*

Cosa starai facendo, Russia, stamattina?

Ti sei svegliata bene?

C’è abbastanza luce nelle tue dita eleganti

per preparare a dovere

i tuoi capelli color di notte

gli occhi che albeggiano?

 

Buongiorno al tuo mistero sensuale

alla tua dolce ricerca di me

alla tua bellezza straziante

che mi scardina totalmente.

 

Ponte di parole

Oggi ho sognato la mia giovinezza

nella figura premurosa di Svetlana

la guida-amica, il ponte di parole.

La mia giovinezza mi conduceva

dentro un terra senza confini apparenti

liquida e vasta, una Russia delle età

e trovava parole per tracciare un limite

disegnare le case, un ritratto invisibile.

 

E mentre Svetlana mi portava

di definizione in definizione

io la proteggevo per rinnovare

l’ascolto di me stesso in lei.

 

Per troppi anni ti ho trascurato

mia giovinezza, unico ritratto

sola chance di non morire

data alle mie parole, tu c’eri

anche se giocavo a fare il vecchio

vivificando i racconti antichi

in una resurrezione di parole

fioritura stupefacente di mandarini

in un giardino di Russia.

Mortificazione

 

Ti ho riincontrato – e ciò che è stato

rivive già nel cuore stanco;

mi viene in mente il tempo d’oro –

e sento il cuore intiepidito…

Fëdor Ivanovič Tjutčev

Devo spegnere, luce di Russia

in quest’ultima notte il tuo nulla vasto

senza trattenere un fiotto che sale

come uno dei tuoi fiumi

alle tempie. Devo impedirmi

di lasciare le parole che vorrei

scandire per te col tuo respiro

i gesti pieni di grazia delle mani

 

vagherebbero quelle parole

fino a raggiungerti di nuovo

nella Mosca della tua danza

dove smette ogni repressione

e tracima la tenerezza di una musica

improvvisa a scardinare la distanza.

 

Mia luce, mia Russia mi aspetta

una mortificazione della voce.

Devo tacere, trattenermi qui

tra gli splendori alti del monastero

pulsante di un silenzio diretto

che s’impone e non ammette dubbi

l’oro delle icone baciato mille volte

da monaci non di questo mondo

esattamente come me, strappato

troppo presto al tuo oriente.

 

Mia Russia, mia luce. Un giudizio

mi obbliga alla lacerazione

e una ferita sanguina irrefrenabile

da un cuore di nuovo innamorabile.

*

Come succede a tardo autunno

che certi giorni, certe ore,

d’un tratto sanno di primavera

e un guizzo in noi ci dà la scossa – 

Fëdor Ivanovič Tjutčev

È passato, in queste nuvole

le stesse di Mosca, a Bologna

la stessa, grigia di giorno

sfavillante la sera appena

ci obbliga a guardarla.

È passato, nelle strade uguali

nelle macchine uguali, uguali.

L’amore che ci aveva sorpreso

sulle rive piovose dell’ansa

di un grande fiume, nel traffico

nella steppa nelle piazze

ancora sovietiche di città polverose

l’amore che se ne era sbattuto

delle unioni e della vasta

estraneità, l’amore non c’è più.

A lui scrivo mail inutili

perdo tempo a scrutare lo schermo

del cielo, immagino a vuoto

cos’abbiamo in comune.

La giovinezza era tornata

per cinque minuti, spazzando

calcoli e difese, splendida

come le città notturne d’Italia

e di Russia. Ma adesso

è andata in un altro tempo

indaffarata in altri impegni

e non ci riguarda, guarda più.

*

L’ispirazione tutto intride

quegli anni di spirito pieno,

beato come un tempo antico

osservo il viso caro…

Fëdor Ivanovič Tjutčev

La Tverskaja continua in Via Rizzoli

e le macchine che passano

nell’intermittenza dei semafori

forse sono le stesse.

Ma io Mosca ti sto dimenticando

anche se l’anima

-più libera e intanata-

lotta con tutta la sua forza

e conserva quello sguardo spalancato

che beveva ogni lampione

e ogni parola. Mosca, dove sei

in quale strada sta passando adesso

il fresco scorrere di nuvole e di luci

le parole cirilliche, la confidenza?

 

Ricordo il disappunto per il cattivo russo

le battute inopportune alla tua austerità

la lontananza dal modo di ballare

dal divertimento, dallo shopping

così determinato a somigliarci

ma nessun errore internazionale

cancella ciò che ho visto, un segreto

inconfessato, forse, o il nulla.

 

È sempre del mistero che ci innamoriamo

perché l’amore è l’attimo

che dura così poco

in cui il mistero si dissolve

e improvvisamente una terra ai confini del mondo

ci riguarda.

*

Dopo un distacco di cent’anni,

ti vedo come in sogno, e tu

mi fai sentir più forte i suoni

che in me non hanno mai taciuto…

Fëdor Ivanovič Tjutčev

 

Ancora una poesia d’amore

l’ennesima e per te che l’ascolti

e non solo, per te che prendi nota.

Per l’estrema potenza del verbo

per la potenzialità del dizionario

saccheggiato mille volte, io cercherò

un ulteriore senso alla parola amore.

 

Sta in te quel senso, nell’esperienza

del vederti, nell’estrema dolcezza

delle tue dita, lo sguardo assorto

e poi sorpreso dal messaggio

del mio volto, dalle parole

che ti attraggono e non permettono

di spegnere il contatto

 

sta in te la nuova interpretazione

di ciò che è antico, così antico

da giungere dal DNA delle stelle

da quello stesso amore divino

che dispose la creazione perché

io ci fossi, e proprio qui, davanti a te

nella sorpresa della tua comparsa.

 

Ancora una poesia d’amore perché

non sono stanco della tua assenza.

Dove sei, non lo so, ma qui sorgi

dal vocabolario consumato

che hai reso giovane di nuovo

giovane come le rondini il primo anno

come la terra sconfinata e stupefacente

che si apre alla tristezza e all’aurora

 

-vecchie città si svegliano presto

e scoprono un popolo di ricostruttori

che edifica strade e campanili

e tu, amore antico e nuovo,

cammini felice nel tuo popolo

le parole raccontano storie inaudite

e il viso non rovina alcun mistero

ma albeggia ancora chissà dove

alla tua terra in me.

*

No, non è solo un mio ricordo,

no, qui è il discorso della vita

quel nostro incanto mai sopito

quell’affezione nel mio cuore.

Fëdor Ivanovič Tjutčev

Chissà perché le tue dita. Certo

per la danza nell’aria mentre parli

per gli anelli non sfacciati

le falangi sottili. Forse nel loro

affusolarsi ci sei tutta tu

quando mi avvicino per scoprire

da dove pulsa la grazia, il permanere

contro ogni previsione qui.

Smetti di chiamarmi dall’anima.

Siamo ancora vivi, ancora personaggi

di due storie separate. Scintilla

che hai appiccato il fuoco, adesso spegniti.

L’incendio è vasto ormai, basta

-ma tu persisti e agiti il vento

e vuoi la combustione senza più controllo.

 

 

Ora legale

Spostàti indietro gli orologi.

Adesso le ore di differenza sono tre.

Tanto peggio per la sincronia tra noi:

io mi siedo a cena e tu vai a dormire

io sono in pausa pranzo e tu lavori.

E se ora ci pensiamo, tu mi pensi

in un’altra ora e i pensieri

che sempre si rincorrono nell’aria

adesso non si incontreranno

perché adesso è un altro.

Cosa dirti? Questa storia

era già cominciata male

tu sei una città gigantesca

nel centro del settentrione

io vivo neppure sulle rive

del piccolo Adriatico. E adesso

pure l’ora legale. Finiamola

con questa storia. Ma quando?

Dio solo lo sa. Per adesso si limita

a spostare indietro le lancette.

 

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