di Elena Verzì
Maria Teresa Murgida, La vertigine dell’ombra, Edizioni Ensemble 2021
La voce, da anni ormai affermata, della poetessa Maria Teresa Murgida torna più densa che mai con la sua ultima opera “La vertigine dell’ombra” edita da Edizioni Ensemble.
La Murgida calca la scena poetica con precisione e forte eleganza, mentre immagini arcane danzano in un teatro buio vinto da “due lumi di parole”.
La sua poesia chiama in appello la terra tutta intera, pronta a raccontare i suoi doni ancestrali attraverso la potenza dei versi, che la poetessa, come un’attenta testimone della vita, ricama perché “ogni parola è la precisa mappa dei giorni messi in fila”.
La presenza del buio, degli occhi chiusi, in molti componimenti della Murgida, non sono mai paura, né assenza di luce; si ammira piuttosto un capovolgimento, un eccezionale evento che si manifesta con la vertigine immensa e sbalorditiva. L’ombra è la chiave che serve per accedere ad una dimensione quotidiana ma di elevata devozione familiare, ne sono impregnati i versi come questi:
“Fiata l’odore dei biscotti
dalle mani di mia figlia,
da soli bastano
a fare giorno.”
Il lettore viene accompagnato da mani che conoscono bene il mondo celebrato in ogni piccola cosa “la crepa, lo spacco/ gli occhielli slabbrati”, ma chi ha visto le cose terrene ha potuto anche fare esperienza di morte e dell’inverno che gela, ma i morti non chiudono il sipario, ricevono la voce in ricordo della loro storia.
La Murgida solleva un canto che domina ogni soglia, abita con incanto ogni angolo di farina, di vento e soprattutto di luce. I versi si aprono con calma e tenacia, reclamano il loro spazio in un atto liberamente donato agli eredi, ai quali è destinato un paese che si specchia nelle sue fratture e le accetta offrendosi con lo sguardo di una prediletta carezza.
Nella figura declamata della madre viene depositata, con intensa dolcezza, la magia della potenza generatrice; lei che sa restare:
“Mi tende ancora un lembo
la veste di mia madre.
è logora per l’incedere
e gli inverni
ma ancora tiene, intricati
tra i lacci, fiori vizzi
che mi cantano amore”
Il sangue che circola nei versi della Murgida pulsa di aria, di primavera, quel sangue vivo che fa tremare i polsi e scorre rapido per comunicare a tutti che la sua anima profuma di beatitudine.
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