di Davide Rondoni
Antonio Riccardi, Ex-voto. Tre sogni e un ruggito, Amos Edizioni 2021
Il composito (ma non casuale) libretto che Antonio Riccardi ha consegnato alle edizioni Amos, nella collana A27, già nel titolo e sottotitolo, che riprende la sua consuetudine di cortocircuiti (Ex-voto. Tre sogni e un ruggito) continua le dimensioni centrali del suo ininterrotto lavoro intorno alla memoria, alla visione, al rapporto straniato, cioè umano, con la Natura.
La memoria, concentrata in omaggio visionario acquoreo al padre, custodisce una inquietudine ("Ma se i pesci mi mangiano/ se sotto sono uno che non ti piace? [...] E sarà vero che sotto ogni segreto/ nessuno è giusto, nemmeno uno") custodisce il lascito: "ricordati che gli adempimenti/ hanno la forma del futuro". Sepoltura e sospensione, sogno e antica fotografia, gesti ripetuti e infantili convulsioni, creano il medesimo spazio, che solo la poesia può abitare e pronunciare, ("senti le nostre ombre, Antonio") in un tempo dove il poeta stesso è non solo in scena nella sua nuda umanità, mai esibita in termini biografici patetici ma puntuali, sepolti e sospesi, ma è anche testimone.
Cosa è l'ex-voto se non la testimonianza leggendariamente irrefutabile di un evento, di un prodigio, di qualcosa che non obbedisce alle leggi di natura? Il varco montaliano, il "nulla nessuno in nessun luogo mai" sereniano, si incontrano in Riccardi in queste creazioni di oltrespazio, oltretempo - creato, si badi, non per fastosa immaginazione ma per cortocircuiti, per abrasioni tra secoli passati e gesti presenti, tra museificazione del tempo e presenze che rifiutano una collocazione, vuoi per affetto vuoi per inerenza culturale (direi metafisica e pure sacra, se non immaginassi l'occhiata che mi manderebbe, astuta da sopra il suo occhiale).
E se pur nelle sue note finali Riccardi, occhiuto, provvede a rassicurare il suo lettore con il fatto che sta scrivendo cose al modo di Giampiero Neri, ed entro il perimetro già individuato da Calvino e dalle sue città, noi sappiamo che così non è. Riccardi è un eccessivo. E dico "noi" indicando alcuni lettori amici, ma anche perché secondo me pure lui lo sa. "Si danno ammaestramenti in sogno?" butta lì in certe notarelle a fine libro. E non si tratta solo di veleggiare intorno a reminiscenze bibliche o mistiche di autori noti al poeta, ma di prendere maledettamente sul serio quella del suo Jean Jacques: "i sentimenti non si descrivono bene che attraverso i loro effetti". Vale a dire una idea di poetica - in quanto idea di natura umana - che non nega una intelligenza del sentire, non la riduce ad algebra psicologica, non la separa dalla storia ma non la riduce a pura cronaca. Affetti ed effetti non sono forse quel che Manzoni, altro eccessivo camuffato, chiamava la "frangia" ineliminabile della storia? Tre sogni, un altro spazio ("il ruggito" reca la memoria di un remoto spazio urbano abitato da animali), una continua, precisa, meticolosa ispezione delle "tenebre della mia cronologia". Perché la vita non è solo cronologia, e la discesa nelle tenebre e nel loro mistero è compito dei veri poeti (e dei mistici). Gente che risale con strani ex-voto tra le mani, strane gratitudini.