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La sacralità dell’“Aldiqua” di Aleš Šteger, tra i massimi poeti sloveni contemporanei

di Valentina Colonna

 
Aleš Šteger (1973) è uno dei maggiori poeti sloveni contemporanei, attivo nel panorama nazionale e mondiale. Scrittore, traduttore e critico letterario, ha pubblicato diverse raccolte di poesie ed è ideatore e organizzatore di prestigiose manifestazioni e progetti culturali internazionali, tra cui il festival Giorni della poesia e del vino [Dnevi poezije in vina] di Medana.

I suoi libri sono stati tradotti in 16 lingue e le sue poesie sono apparse in importanti riviste e quotidiani come The New Yorker, Die Zeit, Neue Zürcher Zeitung, TLS e molti altri. Negli ultimi vent’anni ha partecipato a più di 300 letture, festival ed eventi culturali in più di 40 Stati. È inoltre direttore editoriale della casa editrice Študentska založba di Lubiana.

Ha curato diverse antologie di poesia slovena e tradotto, tra gli altri, Pablo Neruda, Gottfried Benn, Ingeborg Bachmann, Peter Huchel, Olga Orozco, César Vallejo.

La sua prima raccolta di poesia Šahovnice ur (Scacchiere di ore), del 1995, ha rappresentato l’avvio di una nuova generazione di poeti che erano la voce della Slovenia indipendente.
In Italia sono usciti Berlin (2009), premio Marjan Rožanc ex aequo per il miglior saggio 2007, e Arriva un ragazzo (2015).

Traduzione dallo sloveno di Jolka Milič

VRT, POLN ROŽ
Da smo ljudje ocean, je rekla
In zanesla še eno žličko kaviarja
V svoja nepremična finska usta.
Da je ljubosumje utvara posesti
In da nič takega več ne čuti,
Ne ob svojem možu
Ne ob katerem od svojih ljubimcev,
Nič, nič, čisto nič,
Razen mogoče hladne topline belih noči,
Ko jo držijo v potnem objemu,
Razen mogoče nespoštovanja,
Ko telo moževe ljubice ni lepše kot njeno.
Da je ljubezen zavest, da ne poseduje,
Je rekla in zanesla košček lososa
V svoja mala finska usta,
Da nič, nič, nič ne ostane v lasti,
Je rekla poželjivo z vsem ubitim v sebi,
Da ni, da ne bo nikdar razumela,
Kako si nekdo odprtih oči
Želi le eno vrtnico v vrtu, polnem rož.

GIARDINO PIENO DI FIORI
Disse che – noi, gente – siamo un oceano
E si portò un altro cucchiaino di caviale
Nella sua immobile bocca finlandese.
Che la gelosia è un’illusione di possesso
E che ormai non sente più niente di simile,
Neanche con suo marito
E nemmeno con qualche suo amante,
Niente, niente, proprio niente,
Tranne forse il freddo calore delle notti bianche,
Mentre la stringono tra le braccia sudate,
Eccetto forse la mancanza di stima, in quanto
Il corpo dell’amante del marito è meno bello del suo.
Che l’amore è la consapevolezza di non possedere,
Disse, e si portò un pezzetto di salmone
Nella sua piccola bocca finlandese,
Che niente, niente, niente resta in possesso,
Disse con voluttà ma con la morte nel cuore,
E che non ha mai capito né mai capirà
Come qualcuno ad occhi aperti desideri
Una sola rosa in un giardino pieno di fiori.

VRNITEV DOMOV
Na vijačnem stopnišču,
Okrog lončkov z uvelimi rožami,
Cveti rja.
Kovčki, polni umazanega perila
In starih vprašanj, me delajo opotekavega.
Kot da bi od praga do praga selil nemir.
Poslednjih štiristo kilometrov sva molčala.
Noben od naju ne vé, če bo moč premolčati
Tudi tišino prihoda.
Pogled v kopalniškem ogledalu,
Pred katerim sem zbežal tako daleč,
Me ni niti za hip izgubil spred oči.

RITORNO A CASA
Sulla scala a spirale
Intorno ai vasi dai fiori appassiti,
Fiorisce la ruggine.
Le valige, piene di biancheria sporca
E di vecchi interrogativi, mi rendono titubante.
Come se di soglia in soglia traslocassi l’inquietudine.
Gli ultimi quattrocento chilometri siamo stati zitti.
Nessuno di noi due sa se riusciremo a sottacere
Anche il silenzio dell’arrivo.
Lo sguardo nello specchio del bagno,
Dal quale sono scappato così lontano,
Neanche per un attimo mi ha perso d’occhio.

PLIÉ
Neprodušno zapečatena steklenica.
Katalogizacijska številka 3. Vse na svojem mestu.
Ko jo dvignem proti svetlobi,
Lahko na steklu razločim odtise tvojih prstov izpred treh zim.
Vse bolj jih obkrožajo in prekrivajo moji.
Spomnim se, hotela si plesati po zamrznjenem zraku,
Ko sva jo kupila. Ves čas si vedela.
A ne glede na lajež mladih psov in spremembe vremena,
Je vejica rožmarina, konzervirana v pekoči tekočini, ostala ista.
Mrtvo steblo, ki se parkrat razveja v eksplozije zimzelenih listov,
Večnost verzov mrtvih pesnikov, s katero profesorji tolažijo žive.
Spomnim se. Nekaj v meni se je obrnilo.
Ali pa je bilo obrnjeno že ves čas
In sem šele tedaj zagledal konec peclja,
Ki se je bil odlepil od vbočenega dna.
Listi so pričeli počasi drseti po spominu najinih rok
In obtičali, ko je postalo preozko.
Ko sem pričel imenovati sebe,
Mi besede niso hotele skozi grlo.
Baletni čevlji nimajo prostora
Za piruete v kaplji zraka
Pod neizprosnim zamaškom.

PLIÉ
Una bottiglia ermeticamente sigillata.
Numero di catalogo 3. Tutto al suo posto.
Quando la sollevo controluce,
Sul vetro posso distinguere le impronte delle tue dita di tre anni fa.
Sempre di più le circondano e ricoprono le mie.
Rammento, volevi ballare nell’aria gelida.
Quando l’abbiamo acquistata. Lo sapevi fin dall’inizio.
Però malgrado l’abbaiare dei cuccioli e il cambiamento del tempo,
Il rametto di rosmarino, conservato nell’acre liquido, è rimasto uguale.
Il suo gambo morto talvolta ramifica in un’esplosione di foglie sempreverdi,
L’eternità dei versi dei poeti morti con cui i professori consolano i vivi.
Mi sovvengo. Qualcosa in me si è capovolto.
Oppure era capovolto già da tempo.
E solo allora ho intravisto l’estremità dello stelo
Che si è staccato dal fondo concavo.
Le foglie si misero a scivolare lentamente lungo il ricordo delle nostre mani
Arrestandosi dove il passaggio era troppo angusto.
Quando iniziai a chiamarmi per nome,
Le parole non mi uscivano dalla gola.
Le scarpe da ballo non hanno spazio
Per piroette in una goccia d’aria
Sotto l’inesorabile tappo.

Z ZAPRTIMI OČMI
Ko zapreš oči, vidiš pesem.
Izpraznjena je trdnosti vseh reči, ki si jih na skrivaj želiš.
Spominja te na sveže belo prepleskano sobo,
Ki ji je poletje pozabilo zapreti okna in vrata.
A tudi to je zgolj nezadostna aluzija na podobe fizičnega sveta.
Vhodi in izhodi iz te pesmi ne obstajajo.
Ta pesem je snovna in v plinastem stanju.
Osebe, ki lebdijo v njej, metafore,
Ki visijo po njenih stenah, lahko
Galaktični prepih takoj razprši in premeša v kaj drugega.
Dva gola oblaka, ki bi se pravkar pričela ljubiti,
Razsesajo in spihajo zvezde v oblak
Zaklanega vepra, obkroženega s sivim oblakom
Cigaretnega dima očeta, ki vse opazuje
Skrit v temnem kotu pesmi. Najverjetneje je on
Resnični pisec vsake pesmi. V mraku ga
Ne vidiš, vse dokler ne pride sam
Neslišno od zadaj, ti z dlanmi pokrije igrivo oči
In vpraša:Kdo sem? Me boš ubil? S moj?

A OCCHI CHIUSI
Quando chiudi gli occhi, vedi un poema.
Svuotato dell’intensità di tutte le cose che desideri in segreto.
Ti evoca una stanza imbiancata di recente a cui
L’estate si è scordata di chiudere la porta e le finestre.
Ma anche questo non è che una insufficiente allusione alle immagini del mondo fisico.
Non esistono entrate e uscite da questo poema.
Questo poema è sostanziale e aeriforme.
Le persone che vi lievitano, le metafore
Appese alle sue pareti possono venire subito disperse
Da un giro d’aria galattico e amalgamate in qualcosa d’altro.
Due nuvole spoglie in procinto di fare l’amore
Vengono risucchiate dalle stelle e soffiate nella nube
Di un cinghiale sgozzato, circondato da grigie spire
Di fumo di tabacco di mio padre che osserva tutto,
Nascosto in un angolo oscuro del poema. È molto
Probabile che sia lui il vero autore di ogni canto.
Non lo scorgi nel buio finché non si fa avanti da solo,
In silenzio, con le mani ti copre divertito gli occhi
E chiede: Chi sono? Mi ucciderai? Sei mio?

KRUH
Vsakič te zapelje v skušnjavo postati gospod,
Ki se hrani z drobtinicami pod služabnikovo mizo.
Vabi te, da mu narediš zlo, ga zabodeš,
Razrežeš na kose, použiješ njegovo še toplo telo.
Brez sramu se ti prikaže gol kot ob stvarjenju.
Perverzneš je. Provocira te z vzdržnostjo.
A ti se mu daješ in daš. In vsako jutro
In vsak večer ponavljaš mokasto igro.
Ustvaril te je kot sežigalnico svoje krivde.
Ko te nasiti, spregovoriš in si takoj še bolj lačen.
Da, da, ljubi te, zato tudi sedaj sprejema vase tvoj nož.
Ve, da se vse njegove rane zdrobijo v tvojih rokah.

IL PANE
Ogni volta ti induce in tentazione di diventare un signore
Che si nutre con le briciole sotto la tavola del servitore.
Ti invita a fargli male, di accoltellarlo, di tagliarlo
In pezzi, di consumare ancora caldo il suo corpo.
Senza pudore ti si mostra nudo come alla creazione.
È un perverso. Ti provoca con la sua sobrietà.
Ma tu gli dai e ti concedi a lui incessantemente. E
Ogni mattina e ogni sera ripeti il farinoso gioco.
Ti ha creato come l’inceneritore della sua colpa. Quando ti
Sazia, alzi subito la voce affermando di avere ancora più fame.
Sì, sì, ti ama, per questo anche adesso accoglie in sé il tuo coltello.
Sa che tutte le sue ferite si riducono in briciole tra le tue mani.

 
Riconoscibile da subito nella poesia di Šteger è un timbro unico, dal tono vivace, saldo nella sua capacità di spiazzare il lettore, con lucidità di descrizione e sospensione. Nitidi sono in questa scrittura il sorriso, che descrive l’ambiguità e la contraddizione alla radice della vita umana, e la condanna, inclemente, della stessa.

Siamo davanti a una voce che racconta in modo narrativo, fortemente ancorata al reale e da questo in grado anche di trascendere nella visione e nel metafisico. Questi, quando si descrivono, si fanno soltanto «allusione alle immagini del mondo fisico», sviando in un altrove, capace di incarnarsi solo nella sostanza, come mostra il testo Il pane, prova magistrale di rivelazione dell’“Oltre” nella materia.

I versi di Šteger, che hanno come protagonista il quotidiano (composto dagli oggetti, dalla natura, dall’umano e dal non umano…), lasciano dunque uno spazio di salvezza e di verità solo nell’“Aldiqua”. Quest’ultimo, quando si tratteggia, può presentarsi con estrema dolcezza o durezza al contempo, se non viene salvato dall’escamotage ironico, che è importante marca stilistica di tutta questa scrittura. L’indurirsi dell’ironia štegeriana, carica di malinconia e tenerezza al contempo, con uno sguardo sospeso sempre su una soglia, su un limite tra ricordo e presente, tra presenza e fuga, immaginazione e reale, sfocia talvolta nel sarcasmo. Questo diventa la risposta all’«anello che non tiene» di matrice montaliana, che non si fa qui “punto morto del mondo” ma forse costante di massima vitalità, che attraversa e abita interamente una realtà, piena di vita, di imperfezione e di una strana sacralità.

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