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La parola di Eleonora Ines

di Davide Rondoni

Eleonora Ines Nitti Capone, La parola buona, AnimaMundi edizioni, 2020

 

Già di Nitti Capone su clanDestino notai la forza di voce e di profondità. Ora con questo piccolo ma intenso libro edito da AnimaMundi la poetessa e performer leccese attraversa un azzardo. Non ne esce indenne, ma non volta il viso alla tempesta e questo è già un merito. Una premessa è necessaria. Ho sempre guardato con sospetto un certo atteggiarsi para-sacerdotale che sta attraversando la poesia italiana, pur se ne comprendo le ragioni. Per para-sacerdotale intendo il ricorso a un linguaggio, a un habitus e a certe vere e proprie mode stilistiche che per sostenere un tono "poetico" ricorrono ma in modo esteriore, di puro stile, a cadenze e lemmi del dire liturgico o del lessico sacro. Risultano spesso, anche in poeti e poetesse bravi e noti, stucchevoli e furbi. Non solo perché in realtà si tratta di prestiti e di innesti spesso estrinseci alla natura del pensiero e della visione poetica, ma anche perché si tratta di escamotage. Se ne vede parecchia di questa roba in giro e se da un lato forse soddisfa a quella presunzione che l'arte può sempre avere di diventare una specie di religio (o di suo surrogato in tempi di secolarizzazione) dall'altro mostra la povertà inventiva di chi vi ricorre. Ecco, nel caso di Eleonora Ines, credo che non siamo dentro questo rischio. O meglio, lei lo assume e lo traversa pienamente, ma con un rigore, una unità di ispirazione e di stile, una forza compositiva che eliminano qualsiasi possibile uso furbesco o esornativo di una postura o stile para-sacerdotale. No, la poetessa nasce e vive dentro questo tipo di parola frontale, offerta, scavata e sagomata su nominazioni sacre e libri remoti. Brucia i secoli per essere esattamente la stessa cosa di un dire sacro ed elementare, di giovane femmina sciamana biblica. Non esiste "al modo di". È il sorgere quasi prodigioso, con flessuosità nuova, di una voce obbediente ad antichi ed eterni voleri, a dettature arcane e vive. Ci sono testi molto belli. La sapienza di accettazione del vivente e del suo mistero avviene per via del dolore e dell'amore ("ma ancora oltre e più in alto del dolore,/ la misura dell'amore può essere infinita e/ generare infinite cose infinite"). La consolazione di qualcosa dentro di sé e la crescita a un destino buono avvengono per eliminazione della rabbia e del possesso. E soprattutto per un vivo senso della "presenza". Dice una delle poesie più intense: "Il raro e breve istante di presenza mi/ prende in pieno petto/ come un'onda che si spacca sulla roccia/ è talmente differente dal mio solito giacere/ che quando se ne va mi lascia/ come un passero percosso".

Una poesia che porta a incandescenza gli stati della psiche senza involtolarvisi come fa troppa poesia giovane. È abitata da una urgenza di destino e di perfezionare la "parola buona" da offrire come unico compito da adempiere. Dove il "buono" di tale parola non sta in un mieloso moralismo o in una delle tante diffuse mode di pensiero "corretto", anzi sta nella dimensione oggi più fuori moda: l'assoluto. L'assoluto non è una quantità ma una dimensione di appartenenza al mistero in ogni cosa, è quella dimensione visibile nel frammento, nella parola, nel gesto che, strappandolo, sciogliendolo da ogni dimensione di commercio e di pretesa, la illumina della sua assoluta gratuità. A questa dimensione il canzoniere di Eleonora Ines si apre e si arrende, registrando anche i momenti di barbarie e di vuoto e di momenti "dove gli angeli esitano", e però la onora nel suo ripresentarsi, con una dizione chiara e ferma e capace di sinuosità musicali (come in tanti enjambement sospesi), con un pudore della esibizione di sé (che avviene invece come corpo performativo) e con un rigore di dettato. La poetessa potrà in futuro arrischiare di più su quelle vie visionarie che già le stanno aperte davanti ("S'inclina la luce dell'alba e incontrando la/ neve fa gioia") e chissà a quali precipizi si troverà a far visita. Ora questo "piccolo gigantesco libro" – come nota Andrea Prandin in prefazione – ci è giunto come uno dei migliori doni recenti.

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