Home » La musica primordiale nella poesia di Leandro Gago

La musica primordiale nella poesia di Leandro Gago

di Valentina Colonna

Quella di Leandro Gago è la poesia di un viaggiatore che entra in relazione con gli spazi e i suoi oggetti, interrogandoli, svelandoli nella loro essenza nascosta e avvertendone tutta l’energia misterica che li abita. Talvolta, con vigore la sua penna svia dalla più viva realtà, per volare inaspettatamente ai cieli più alti dell’immaginazione e farsi visione. In questa scrittura che viene dalla lontana Argentina e attraversa luoghi indefiniti che vanno presentandosi nell’esattezza di città, fiumi, strade e monumenti, dal Sud America al Canada, c’è una straordinaria forza che, come scrive anche la poetessa María Eugenia Simionato che firma la prefazione al libro, è particolarmente potente e, capace di chiamare altra forza, a tratti spiazza il lettore.

I versi di Gago affondano in una tensione tra l’ombra oscura e la luce vibrante delle cose vive: esse vengono osservate in tutto il loro mistero, perché “tutto sta parlando la stessa lingua segreta”, come scrive il poeta. La dimensione spaziale di queste poesie è difatti quella cosmica, con la sua indefinitezza e con la sua accoglienza: la narrazione passa dai toni mitici e primordiali alla focalizzazione sugli elementi dettagliati e quotidiani. Ciò avviene in un’insistenza di giochi di specchi e riflessi, realistici o deviati, che si preannunciano già nel titolo della raccolta, Fobos. Se infatti Fobos (Φόβος greco) è in astronomia il più grande e interno satellite di Marte, che se osserviamo dalla Terra ci appare più piccolo della Luna per la sua vicinanza al pianeta rosso, nell’antica Grecia era anche il figlio del dio della guerra e della bellezza e rappresentava l’immagine della paura. È questa una poesia che, basandosi su un equilibrio di prospettive e distanze, non esclude dalla narrazione né il sogno né la paura, ma trae piuttosto dalla vertigine una forza e da un “profondo cielo/ che scende” è capace di trovare il coraggio di entrare nell’essenza delle cose anche più minute o quotidiane. Così, nell’apparizione e nella convivenza di fiori, fanali di auto, denti, finestre, ci si può addentrare nella consistenza molecolare di una piuma o nell’albero che “dentro sta intenerendomi, facendosi, sollevando la sepoltura”.

Anima questa poesia che affonda nella solitudine un moto che va dall’alto verso il basso e dalla radice verso il cielo, scandagliando le cose sino a “svuotare gli occhi nell’ombra”, come pronuncia il verso che conclude il libro. La sombra, l’“ombra”, è infatti la parola che conclude la raccolta e si presenta con lo stesso movimento del cielo che “si disfaceva scendendo” nel testo di apertura della seconda sezione. L’ombra sembra essere la risposta, come in una costruzione anulare, alla domanda che apre il libro e che, in seguito al racconto prosastico del drammatico ritrovamento di un bellissimo uccellino morto, con parole intervallate dal silenzio, chiede: “Cosa fare? / lo avvolgiamo in un fazzoletto, // un attimo?”. L’interrogativo che si colloca all’inizio della raccolta e del viaggio, e si sospende sino alla fine del libro, si fa anche affermazione, in modo quasi programmatico: è la domanda la chiave di lettura dell’intero lavoro, un’interrogazione che riguarda l’altro, che riguarda un’altra creatura e rappresenta il modo di stare al mondo per questo poeta. Vive in questa scelta stilistica che ingloba il dubbio come possibilità anche l’ammissione di una certa reticenza della poesia davanti alle cose grandi della vita, come la morte, quasi in un balbettio: tuttavia, il poeta sceglie di relazionarcisi, decidendo di accogliere e onorare, in un simbolico fazzoletto che si fa culla e tomba, la bellezza in tutta la sua fragilità, la creatura che finisce per coincidere con la dimensione temporale dell’attimo a cui si riduce la vita intera.

L’ombra, elemento che percorre la raccolta nel suo complesso, è testimonianza di presenza, di luce, ma è anche essa stessa negazione della materialità e proiezione, è buio e sagoma, è nulla: in due dei testi che qui si propongono, il lettore incontrerà il nulla, la nada, solo nella parte conclusiva, quasi in una sorpresa a cui Gago conduce abilmente, tenendo sospeso il suo lettore sino alla rivelazione finale. Filo rosso di tutto il libro è infatti un legame amoroso, fatto di sospensione, che lega la tensione del nulla al suo più tangibile opposto, in un inseguimento che ha la forma di un corteggiamento e che, con i caratteri di una tradizione marcatamente sudamericana, affonda le sue radici anche in un marcato culto della morte e del giardino della vita.

È una poesia che nel complesso è scritta prevalentemente a un fiato solo, che limita all’essenziale la punteggiatura e va talvolta diluendosi in sospensioni momentanee che prendono forma in spazi di silenzio armonizzati abilmente nell’insieme. Il respiro di Leandro, da più sottile, va così a tratti infittendosi in un’efficace resa musicale del testo, creando una musica che suona primordiale e che, capace di accogliere “il silenzio delle cose”, impara dal quotidiano, nelle sue dimensioni minute e cosmiche, la sua potente emersione.

Da Noche, el asunto de una oscuridad poética (2018)

13

Buenos Aires y un libro de Lorca comprado en la estación:
Viajar solo, sí…
Solo, en la noche de la Pampa
Regresar todavía más solo
Así como he querido
Así como he pedido ser amado
Amando a cada una de las estrellas que me han jurado indiferencia,
Permanecer otro segundo, y otro
Ojos abiertos en la noche
Dentro de un ómnibus que ahoga sus doce horas de luces, su cuchillo
En la Pampa inagotable
Donde justamente hay más nada que la noche, vuelta a su corazón

13

Buenos Aires e un libro di Lorca comprato alla stazione:
Viaggiare solo, sì…
Solo, nella notte della Pampa
Tornare ancora più solo
Così come ho voluto
Così come ho pregato di essere amato
Amando ciascuna delle stelle che mi hanno giurato indifferenza,
Rimanere un altro secondo, e un altro
Occhi aperti nella notte
Dentro a un autobus che soffoca le sue dodici ore di luce, il suo coltello
Nella Pampa sconfinata
Dove giustamente c’è più nulla che la notte, tornata al suo cuore

12

Tocar el piano del viento contra árboles, tocar sus hojas
Tocarlas como si fueran rojas o azules,
Que no pertenecen a dios,
Que el fuego no las quema, y el aire es un tercer ojo que mira para otro lado

Pero tocarlas
Y sentir la calavera de piedra y fuego que hay debajo, aunque no se vea nada, y aunque no haya nada
Porque no hay nada, creo
Si no tocarlas

12

Suonare il pianoforte del vento contro alberi, toccare le sue foglie
Toccarle come se fossero rosse o blu,
Che non appartengono a dio,
Che il fuoco non le brucia, e l’aria è un terzo occhio che guarda da un’altra parte

Ma toccarle
E sentire il teschio di pietra e fuoco che c’è sotto, anche se non si vedesse niente, e anche se non ci fosse niente
Perché non c’è niente, credo
Se non toccarle.

Da Fobos (2017)

1

Esta mañana, en las fuentes de mi edificio, apareció muerto el más dulce pájaro que hubiera jamás conocido vivo y volando. Entonces, se han reunido dos dimensiones por aquel suave suceso. Un cuerpo de delicado reloj abierto se ha detenido en diversos colores

¿Qué hacer?
¿Lo envolvemos en un pañuelo,

Un rato?

1

Questa mattina, nella fontana del mio palazzo, è apparso morto il più dolce uccello che abbia mai conosciuto vivo e volando. Così, si sono riunite due dimensioni per quel lieve evento. Un corpo di delicato orologio aperto si è fermato in diversi colori

Cosa fare?
Lo avvolgiamo in un fazzoletto,

Un momento?

2

Piso 13,
La ventana con la bruma del lago Ontario, con luces sumergidas bajo el agua
Entre aviones oceánicos
Y almas perdidas
Allí, en el ámbar verduzco del límite de las luces

No hay sonido
Solo un silencio aéreo y una turbina
Esferas fantasmas que bailan sobre los lagos,
Que se apagan lejanas
Entre los bosques
No otra clase de silencio, solo el silencio de las cosas

La luz roja de las puntas de los pararrayos… todo está hablando la misma lengua sigilosa, como si todo fuera enhebrado por el mismo fulgor, por el mismo rayo
Ahora imagino metales remotos que se hacen baba, suavemente
Quiero pensar en alguien. Pienso en Saskia, no sé, de su piel cayó un pétalo que ya es una moneda de humo, solo un nombre: estoy solo
Pienso en las piedras que se hunden en el lago,
Las enormes
Y aún las más pequeñas

2

Piano 13,
La finestra con la nebbia del lago Ontario, con luci sommerse sotto l’acqua
Tra aerei oceanici
E anime perse
Lì, nell’ambra verdastra del limite delle luci

Non c’è suono
Solo un silenzio aereo e una turbina
Sfere-fantasma che ballano sui laghi,
Che si spengono lontane
Tra i boschi
Non un altro tipo di silenzio, solo il silenzio delle cose

La luce rossa delle punte dei parafulmini… tutto sta parlando la stessa lingua segreta, come se tutto fosse attraversato dallo stesso bagliore, dallo stesso raggio
Ora immagino metalli lontani che si fanno saliva, dolcemente
Voglio pensare a qualcuno. Penso a Saskia, non so.
Dalla sua pelle cadde un petalo che ora è una moneta di fumo, solo un nome: sono solo
Penso ai sassi che si tirano nel lago,
Quelli enormi
E anche quelli più piccoli.

Poesie tratte da Fobos, Alción, 2019
traduzioni di Valentina Colonna

Leandro Gago (Mendoza – Argentina, 1986) è un poeta e cantautore argentino che vive attualmente in Italia, a Torino.  Le sue poesie e le sue canzoni, entrambe con forti radici sudamericane, lo hanno portato su diversi palcoscenici internazionali, tra cui Cile, Canada, Germania e Spagna. Nel 2017 vince in Spagna il premio Jaraíz di poesía nel XLIX Certamen Internacional de Poesía de Valdepeñas (Ciudad Real) con il suo primo libro Fobos (Alción, 2019). Laureato in Sociologia presso la Universidad Nacional di Cuyo (Argentina) a Mendoza, ha continuato la sua formazione accademica alla York University di Toronto (Canada) e ha conseguito un Master in Public Policy and Social Change in Italia, presso l’Università degli Studi di Torino. Ha appena finito di registrare in Argentina il suo primo album di canzoni e attualmente lavora come docente a Torino.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto