La materia di Alleva

Le “Ultime corrispondenze dal villaggio” di Antonio Alleva per le belle edizioni de Il Ponte del Sale di Marco Munaro compongono un libro denso, vario, lieve. E però a suo modo violentissimo. La materia del pensiero poetante del bravo scrittore abruzzese si forma, oscillando tra un dialetto scheggiante e dolce e un italiano pulito e quieto, capace però di mescolarsi con lo spagnolo e i modi di dire di una contemporaneità caotica, sostando tra ricordi, visioni che riguardano i più prossimi. È una sorta di preparazione al viaggio. All’altrove. Si sta in una dimensione – che è propria di ogni buona poesia- che l‘autore chiama di un “altro Avvento” impiegando una espressione ricca di profonde e numerose risonanze. In questa dimensione – che nulla censura del vivente- lui sta come: “L’incantato della stella”, ovvero la statuetta un po’ inutile e appartata del presepe a cui si da tradizionale quel nome non avendo il personaggio nessuna caratteristica precisa – non è un fabbro, non un re maggio, non un passatempo quella statuina del presepe che fissa, incantato, il cielo. E che però, in questo caso, vede saltare il villaggio, vede cambiare di segno il luogo, vede che la scena sta mutando. In tal senso credo sia un libro anche violentissimo. Basta leggere una delle poesie più belle che ci sono dentro ( e tra le più belle che mi sia capitato leggere di recente) dedicata a Onna, paese terremotato.

Ho sempre ritenuto che il tempo sia la materia della poesia. Non solo come tema dei temi, messo a fuoco non a caso da quell’Agostino, santo e maestro di retorica che legava spinta amorosa e scrittura, ma anche come ritmo, movimento e relazione profonda e speciale con il farsi delle parole. Si tratta anche del tempo della loro storia, e fragilità e durata. In questa prova, Alleva che è poeta e lettore finissimo, sceglie la forma della missiva (che nella nostra poesia anche recente ha avuto precedenti e varie versioni, dalle notizie dalle ultime zone giurisdizionali di Caproni, “Franco cacciatore” dell’invisibile ai “Preparativi per la villeggiatura” di Pagnanelli fino a prove recenti di “Fratelli” di  Guido Garufi o di libri dialoganti con precise figure del villaggio o della casa, come il colloquio in “Beatitudini della malattia”, di Roberta Dapunt con la madre…La poesia come gesto in sé interroga il tempo nel suo disfarsi e rifarsi, della sua relazione con cose e volti, la sua doppia natura di illuminazione e velamento. Alleva mette queste cose ( e altre) nel suo libro, le fa vedere con scorci minimi e rapide vertigini di pensiero, tra i figli, le foto in casa, i poeti lontani e passati, le città ispaniche, le rabbie nazionali e antinazionali, gli sconforti. Ma mai cadendo nella retorica. Perché il villaggio di certo è stato importante ma altrettanto è stato stretto. E Alleva – che non a caso inizia con una dedica di rivelazione (ancora il rapporto tra tempo e nome) – sa che il nostro villaggio e “già” qui e “non ancora” qui. E sa che chi manda missive poetiche da questo luogo dove geografia e profezia, decadenza e svelamento, è appunto un “incantato” – parola che si può usare per dire di attitudine alla meraviglia oppure a quel che al mondo pare stupidità.

 

Davide Rondoni

Lascia un commento