di Davide Rondoni
Il vuoto non c’è. Il suo vero nome è rapina. Quella che compiamo noi, con la mente o con le mani. O con il cuore. Togliendo, strappando via quel che c’è.
Il vuoto non esiste come condizione, perché la vita è, e noi siamo immersi in essa, che con il concerto e il grido dei suoi fenomeni ci raggiunge. Neanche l’abisso dell’oceano visto di notte dall’alto è “il vuoto”. Nemmeno lo spegnersi di uno sguardo è “il vuoto”. Siamo noi a crearlo, nel breve spazio della ferita che produciamo alla realtà (il mare o gli occhi). Il vuoto di un attimo, dove c’era la vita e noi lo neghiamo. L’unico vuoto possibile è quell’attimo di ferita. È quella nostra voglia di vuoto, di eliminazione di qualcosa. È la nostra rapina.
Dire: la vita non “è” produce l’attimo di vuoto. Fissarsi su quel pensiero rapina, scimunirsi con quel pensiero ladro provoca un sentimento più duraturo del presunto vuoto.
Ma meditando sul vuoto sediamo su sedie che non sono il vuoto.
L’artista, sia quello delle parole che quello delle linee e della plastica, sa che il vuoto è l’inganno che lui produce sulla vita. L’arte nasce quando si obbedisce alla vita, quando non la si inganna. Dal vuoto che noi presumiamo ci vengono incontro le parole (che ci sono) e le linee (che ci sono) e i movimenti (che ci sono). Il “vuoto” della pagina o dello spazio artistico è in realtà l’offerta di un luogo. Il suggerimento di linee, di parole. Strappando, radendo, cancellando e riducendoci in una cattiva solitudine pensiamo di “sentire” il vuoto. Ma è solo un “non sentire” il reale.
Il mondo può sembrare vuoto quando non c’è chi amiamo.
O meglio quando non vediamo chi amiamo. Siamo giunti con grave presunzione a chiamare “non-luoghi” dei luoghi affollati di uomini, perché non amiamo più le persone.
È una questione di apparenza. Il vuoto è la messa alla prova dell’amore e dell’apparenza. Se amore e apparenza coincidono, il vuoto si farà sentire spesso.
Faremo rapina del mondo intero se il nostro amore coincide con l’apparenza. Sentiremo vuote le città, le case, i mesi, gli alberi, le scale...
Le vedremo vuote mentre sono piene di vita. Rapineremo la vita, ce la strapperemo anche rabbiosamente da davanti agli occhi. Per poter dire: il mondo è vuoto. Poiché non vediamo il nostro amore. E solo perché non lo vediamo diremo: non c’è.
Non si tratta di lottare contro il vuoto, e nemmeno di ammansirlo. C’è da lottare contro la nostra tentazione continua di rapina. C’è da invocare, da lottare contro la tentazione che abbiamo di cancellare. Di eliminare.
E quando non vediamo l’amore che riempie la vita e ce la rende presente e piena, invece di meditare sul vuoto e di rapinare la vita ferendola, umiliandola, non riconoscendone la continua evenienza e proposta, alziamoci a brancolare, ad andare come a tentoni, a mendicare, a supplicare quell’amore, a chiedere che si sveli. Si abbia la sincerità di dichiarare vuoto il nostro cuore, e affamato. E non vuota la vita, non vuoto il mondo. Si chiami fame il senso di vuoto. Ci resti questa ultima dignità.
(da Nell'arte, vivendo - 2012)

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