di Angelica Grivèl Serra
Era un vespro primaverile. La luce del tardo pomeriggio in cui accadde era serafica e regale, quella di un tramonto che tappezzava di rosa nuvole innocue che transitavano alte. C'erano ancora vaghezze di freddo, però. Amanda e Rocco pedalavano forte anche per scaldarsi, sebbene l'emozione fosse il vero motore delle loro giovani gambe. La casa dell'Uomo era un rudere stinto che sbucava nella macchia mediterranea come se qualcuno avesse avuto l'idea di crearlo con un intento pittoresco, per poi dimenticarlo dopo averne realizzato un tetto abborracciato. E l'Uomo in questione era per loro una creatura dal fascino imperlato di misteri e segretezza al pari del relitto che abitava. Aveva un viso sugherigno, sgualcito da solchi e crateri; aveva setole di capelli polverosi attaccati alla nuca ispessita come cuoio. Teneva la sua logora Panda bianca 4x4 parcheggiata in uno spiazzo sgombro dall'erba alta che, per il resto, circondava la misera dimora, come a volerla sommergere. Amanda e Rocco avevano ormai maturato una certa familiarità visiva con le fattezze della casa dell'Uomo. Vi si accostavano piano con le bici, cercando di estinguerne persino i più impercettibili cigolii, con curiosità muta, come a entrare in un'area che esigeva solennità persino nel passo. Naturalmente, la casa dell'Uomo era per loro meta avvincente soprattutto quando non scorgevano la Panda nello spiazzo; a volte, il brivido del rischio li aveva portati a tentare soste ravvicinate anche quando la Panda c'era, ma non vi si erano mai attardati abbastanza da azzardare un ingresso.
In quel principio di sera, col sole basso a dispiegarsi come un ventaglio, Amanda e Rocco avevano deciso: sarebbero entrati davvero nella casa dell'Uomo. Intanto perché gli appostamenti, nell'ottica di entrambi, erano ormai cosa da principianti. Era giunto il momento d'indagare quell'area inesplorata. Ai loro occhi bambini, ancora fieramente inabissati nei mulinelli delle favole, ogni sentiero, le infiorescenze e la complessione della natura del posto non avevano più segreti, a forza di tutte quelle loro traversate ciclistiche primaverili, tanto che ormai avevano ribattezzato la zona il 'Regno', designandone i confini, dettandone la planimetria, classificandone la flora e le rare apparizioni animali ribattezzandoli secondo i suoni delle rispettive fantasie. La casa dell'Uomo restava il solo punto sconosciuto della mappa. In modo accuratamente inconfessato, nel crepuscolo rosa, sia Amanda che Rocco speravano che l'Uomo non ci fosse, affinché il loro piano non venisse intralciato. Eppure, a vincere in loro c'era la parte che piuttosto confidava nella presenza dell'Uomo. Perché lo scopo di quella loro gita si slanciava ben oltre l'indagine logistica: Amanda e Rocco portavano la bandiera di una missione punitiva. Le volte in cui si erano trattenuti più del solito nelle vicinanze della casupola, infatti, avevano constatato l'orrore che lì si compiva. L'Uomo vessava a colpi delle sue tozze gambe nodose i grembi dei molti gatti erranti del Regno, che felpati riempivano il verde di vita e si moltiplicavano in cromie sempre diverse. Quei calci, intrisi di tanto indolente crudeltà agli occhi di Amanda e Rocco, dovevano finire.
Quando infine arrivarono alla casa dell'Uomo, dopo un giro di ricognizione del Regno più rapida del solito, la Panda c'era: immobile, nel rispetto millimetrico dello spazio che aveva ritagliato per sé. Fu un sussulto per entrambi e Amanda, senza volerlo, vide volatilizzarsi il coraggio che aveva così attentamente costruito sino a quel momento. Fece appello a tutta l'autorità da sorella maggiore che riuscì a raccogliere per ritrattare il patto con Rocco, che fissava la Panda malconcia come se si aspettasse di vederla muoversi da un momento all'altro. Lei parlò con gravità concitata, anche se tenne la voce in un sussurro: “Andiamocene, dai. È troppo rischioso. Riproviamo domani, se l'Uomo non c'è”. Rocco aveva scosso la testa, senza guardarla. “Se tu sei così fifona, vai pure. Io entro”. Ma non avanzò passi. E in realtà non si udivano suoni che contrassegnassero vita dentro la casa dell'Uomo. Amanda, la cui dignità era ferita più dall'audacia dimostrata dal fratello di tre anni più piccolo che da quel 'fifona' da lui pronunciato, atteggiò fierezza nelle braccia conserte sul petto asciutto, ancora del tutto privo di curve. “Oh, non ci penso nemmeno. Io rimango”. Rocco diede in un sorrisetto compiaciuto, prima che la sua faccia decenne virasse in serietà subitanea mentre, con aria da intenditore, si chinava, tastando a terra con la mano destra, sino a quando le dita non incontrarono un sasso e lo scelsero. La pietra, di conformazione irregolare, era di un colore dimenticabile, abbastanza grande da allertare l'attenzione dell'Uomo forse dentro casa, ma non massiccia a sufficienza da far danni veri, come spaccare un vetro.
“Ora ci avviciniamo e lo lanciamo contro la porta”. Anche lui aveva capito che fosse necessario approntare cautele. Amanda annuì prudentemente. Così, arrivarono a pochi metri dalla porta sghemba, un lucchetto arrugginito adagiato sulla soglia. Si fermarono, meravigliati: non avevano mai osato una distanza così esigua. Tacquero persino i loro respiri, mentre entrambi guardavano quelle spoglie mura di colpo troneggianti su di loro. “Al mio tre, va bene?”, fece Amanda. Dilatarono il conteggio; quando il tre non fu più prorogabile, Rocco scagliò l'insulsa pietruzza. Il lancio non fu poderoso; quella urtò la porta in un suono sordo ma udibile, prima di cadere a terra. Tutto, persino i trilli degli uccelli e i flebili chiacchiericci degli alberi, parve ammutolire, in un'attesa che accompagnava la loro. Fu questione di istanti, perché un suono di previsti quanto temuti passi strascicati dentro la casa dell'Uomo interruppe il silenzio.
I cuori di Amanda e Rocco, che già palpitavano tumultuosi, incalzarono il rullo dei battiti. Se avessero potuto, si sarebbero librati dalla gabbia dello sterno. I due ragazzini si guardarono, pronti all'imminenza dell'attimo decisivo. Qualcosa di livido come il terrore s'impossessò dei loro sensi; non riuscivano a staccare gli occhi dalla porta, ma c'era anche una specie di gioia ad accendere la paura, vivificandola in foga. Amanda si affrettò alla ricerca di un'arma capace di fronteggiare la lotta che ormai sentiva sempre più vicina: la trovò nella fortuna di un ramo che reputò efficacemente robusto e lo impugnò a mo' di bastone tra le dieci falangi che impallidirono a forza di stringerlo. Anche solo l'idea di averlo tra le mani le procurò preventiva soddisfazione: si figurava scettrata del potere per il solo fatto di possedere quel bastone primitivo, col quale avrebbe posto epilogo alle molestie. Finalmente, quella porta si aprì. Vista così da vicino, la figura dell'Uomo non si stagliava per statura o stazza, e questo gettò entrambi nell'ottimismo infantile di poterlo sopraffare , due contro uno, in caso di attacco diretto. Ma quel paio d'occhi mobili di ratto sotto le sopracciglia basse ispiravano innegabile pericolo. Amanda rivalutò il bastone, Rocco non volle aver lanciato il sasso. Ma ormai era fatta.
Improvvisando, Rocco cercò di apparire minaccioso: “Sappiamo quello che fai, vigliacco!”. Amanda, col viso serio, fermo e ardente, rincarò l'intimidazione, inclinando il ramo in direzione della figuretta dell'Uomo: “Non si picchiano i gatti!”
Il viso dell'Uomo rispose loro prima delle parole che era sul punto di pronunciare e in quell'attimo silente, oltre il rimorso per la scorreria che pareva ormai in modo chiaro un errore a entrambi, qualcosa di simile a una ripida malinconia s'insinuò nei cuori dei due ragazzini. Avevano appena incontrato una solitudine. La videro entrambi lì, plateale e prostrata davanti al loro sguardo. In fondo, indifesa. E loro l'avevano violata. Poi l'Uomo, per nulla impressionato alla vista di quei due marmocchi inattesi, infranse il pathos del loro spunto di redenzione e tuonò a voce roca: “Bruttus disgraziaus! Di du segu su fùste in conca!”
E, per quanto il suo incedere sbilenco potesse permettergli, accelerò l'andatura, a pugni alzati, in direzione dei ragazzini. Senza apporre la titubanza di un ripensamento, folli di paura, Amanda e Rocco schizzarono in corsa verso le bici, abbandonate poco più in là. Prima di saltare sul sellino, lei mollò il ramo quasi fosse radioattivo (fuste, su fuste, un martello a rintronarle la testa). E il tragitto verso casa, che si atteneva a otto minuti se la pedalata era veloce, dieci quando pigra, fu una corsa magistrale.
I primi cenni di buio incombevano sulle loro teste, i vapori già flebili del tramonto li seguivano come se un manto volesse coprirli. L'aria era colma dell'ansante respiro di fratello e sorella, che affondavano gli occhi nelle precoci cecità dell'imbrunire. Ogni tanto, davano in schiamazzi vivaci senza articolazione. Non si vedevano che le distese erbose già scure svicolare alla precisione dei loro occhi; più volte, le ruote dell'una e dell'altra bicicletta incespicarono e certi rumori pericolanti fecero pensare alla prossimità di scivolate memorabili. Nessuno dei due cadde. E per tutto il percorso non osarono guardare alle proprie spalle sino a quando scorsero il familiare profilo della strada che conduceva al cancello di casa loro. Amanda, che stava dietro Rocco come se ciò potesse proteggerlo da imboscate o aggressioni, fece uno scatto con lo sguardo, torcendo il collo indietro: non c'era segno di umanità. Sollievo inenarrabile. L'Uomo doveva aver rinunciato al proposito, dopotutto.
Ricondussero il motivo del ritardo del rincasare a giri panoramici aggiuntivi. La fatica fisica di cui diedero segno entrambi, tra sudori e respiri volutamente ginnici non appena furono a portata d'occhio dei genitori, bastò a giustificare la storia. E così come congiunsero in favore l'idea di evitare, da quel momento in poi, qualsiasi sentiero potesse trascinarli ancora nella zona della casa dell'Uomo, Amanda e Rocco fecero sì che quello dell'incontro con l'Uomo rimanesse un patto muto tra loro. Senza nemmeno concordare il buonsenso del voto di silenzio, ne tacquero la trama a chiunque. Per quanto potessero, anche a loro stessi, nel suggello del segreto. Eppure, negli echi diffusi di vittoria che sentivano di portare col riscatto dei felini, a smorzare l'euforia del trionfo sporgeva, nella baraonda dei loro cuori, una crescente stretta di pietà nei confronti dell'Uomo. La stessa che avevano avvertito quando gli avevano scagliato il peso delle loro parole: il nodo di contrizione prese ad abitare entrambi. Fu Amanda, in particolare, a sentir crescere dentro sé anche il morso della colpa. Per non aver sfruttato quel tempo della puerile incursione nella proposta di un garbo nei confronti dell'Uomo. Per aver turbato quella solitudine di cui entrambi avevano colto gli estremi nelle brutalità dell'ira dell'Uomo e nel fondo triste della sua voce graffiata, come se non fosse abituato ad usarla. Per non aver ardito il coraggio di un cenno di scuse, non appena si era fatta nitida l'evidenza dello sbaglio. Ed entrambi sentivano anche la pressa di una vergogna, che molto aveva a che fare col sasso e l'oltraggio in esso contenuto. Lo specchio dell'infanzia andò in frantumi, e con esso le fiabe che tracciano il netto confine tra buoni e cattivi. Fiottò così, vulcanico, un sentimento gentile; custodirono a quel modo la vicenda, nel nido della compassione.