“L’equilibrio nella caduta” di Thomas Tsalapatis

di Francesca Delvecchio

Quando ho letto per la prima volta L’alba è un massacro Signor Krak, serie di racconti e poesie dell’autore greco Thomas Tsalapatis, ho trovato una scrittura seria e lineare che, con decisione, racconta le avventure strampalate del signor Krak, proposte su tematiche di primo acchito assurde e dal contesto criptico e sovversivo. Un bel libro, con idee geniali – ho pensato – ma c’è dell’altro.

L’ho riletto e già dalle prime frasi, eccola la chiarezza di tutte le metafore e la parola da cui partire: straniamento. La nostra è una società straniante, in cui la percezione della realtà che abbiamo è costantemente sotto pressione e ci diventa estranea, fino a ribaltarsi. Noi ci sentiamo estranei (extraneus, dal latino tardo (e)xtraneare) rispetto alla realtà che si pone davanti ai nostri occhi o che ci giunge alle orecchie e Tsalapatis, con questo libro, riesce perfettamente a mostrare questo concetto contemporaneo.

Le immagini che usa sono vivide e con la tecnica del rovesciamento riesce sempre a centrare il punto, intessendo la narrazione di un’ironia velata e delicata che sconfina nell’immancabile constatazione, secondo cui nulla potrebbe andare diversamente.
Infatti, è tipico della nostra epoca accettare un fatto per quello che è e per come si presenta, senza ribellarsi o fare qualcosa al riguardo – quantomeno il più delle volte.
Un po' come succede al Signor Krak quando gli spunta un chiodo in testa e i medici, invece di curarlo, gli appendono un quadro sopra. Meglio oscurare, trovare una scusa, piuttosto che andare alla fonte del problema. Allo stesso modo, prima di realizzare che c'è una testa di maori nel suo frigorifero e preoccuparsi, Krak pensa che forse è la fame a creare quella visione o forse non si è tagliato i capelli. Trova delle scuse, insomma, prima di essere autentico e comunque non ci riesce, perché nessuno gli ha insegnato come reagire in circostanze simili!
La realtà entra nelle nostre case e vite attraverso l'informazione e la tv e noi non sappiamo cosa dire o come reagire, siamo davvero trasparenti.

E quell’assurdità che lacera le viscere. L’esterno che invade l’interno della casa e poi l’interno del signor Krak. L’hanno condotta cavi, telefoni, voci, schermi. E il signor Krak pieno di esterno diventa trasparente, tanto che per strada nessuno lo riconosce.

Quando poi realizziamo e ci rendiamo conto – ogni tanto forse succede – non accettiamo le brutture del mondo. Il Signor Krak porta a casa una scatola dentro cui di continuo qualcuno viene ammazzato e questa consapevolezza lo fa ammalare.

“L’alba è un massacro Signor Krak”, afferma la voce narrante, e il Signor Krak si presta da archetipo di tutti noi, come esseri umani che vivono nella società di un determinato periodo storico. L’alba è un massacro per tutti.
Nel momento in cui ci svegliamo dobbiamo ricominciare da capo: ingrassarci di informazioni per non perdere la coscienza.

Che periodo difficile passasti, signor Krak, quando ogni notte ti addormentavi grasso e di giorno ti risvegliavi magro. Il sonno è una perdita, signor Krak, è una perdita.

Sì, è una perdita, soprattutto se il sonno della ragione diventa imperativo categorico. Perché in effetti la lettura è un martirio, Signor Krak.
Il signor Krak non ha mai finito un libro in vita sua. Così anche stanotte. Lascia il libro sulla mensola e si dirige verso il letto. Il peso è una forza strana – non molto in realtà – agisce in maniera improvvisa e crudele, senza giri di parole, senza ripensamenti. Il peso non lascia il libro al suo posto. La mensola si rompe e offre al pavimento letteratura in abbondanza. “La sistemerò domani”, pensa il signor Krak, “ora sono stanco e ho bisogno di dormire”.

Domani. Domani, si sa, ricomincerà tutto daccapo e allo stesso modo.

«Come va, signor Krak? Cosa farà, oggi?»
«Niente di importante, perlomeno da quando ho perso le mie gambe». Eppure il signor Krak è munito di gambe – ne ha due per la precisione –, e ciò è così evidente che la sua risposta cade nel vuoto. In definitiva, il signor Krak è un uomo noioso e di certo chi ha posto la domanda lo sa.

Tsalapatis non si lascia intenerire dal Signor Krak, non lo scusa, non ce n’è bisogno. Anzi, prosegue raccontandoci di Atene, che certamente è il toponimo da cui partire se si pensa al massacro della Grecia, ma non c’è pena, né rabbia. Solo constatazione, fino all’ultima pagina, come a dire “se è questa la fine che dobbiamo fare, facciamola con eleganza e indifferenza, come sempre”.

Così, tutti noi andiamo avanti, uomini e ombre, bucati dal tempo. Scandagliando superfici, corrompendo parole, esaminando tregue. Tutti noi, che siamo usciti dall’ombra per trovare l’oscurità.

E alla fine invaderemo la Danimarca, andando a tagliare gli alberi antichi, le nostre radici.

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