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Invernale di Dario Voltolini: il dolore e i ricordi del padre

Che differenza c’è tra vita ed esistenza? Azione e pensiero? Secoli di filosofia hanno proposto le loro visioni. Dario Voltolini risponde con un libro di 140 pagine, Invernale, edito da La Nave di Teseo e finalista al Premio Strega 2024. Un volume snello ma denso, dove i capitoli sono momenti che scorrono in giorni vissuti tra il mercato, la macelleria, le vacanze al mare, la passione per il calcio, le visite alla clinica. Non c’è stasi se non nel pensiero, eppure l’azione non è quella che si intende quando si tratta di genere. È altresì quella del vivere.

Il macellaio: da protagonista a ospite

Il benvenuto nelle prime pagine non è di quelli scontati, né già visti. Perché la macellazione è narrata con la meticolosa freddezza propria di chi quelle carni le conosce o le ha vissute. Incurante di chi potrebbe, invece, sentirsi turbato da certe descrizioni.

Ci sono vasche con frattaglie, fegati, budelli, trippe, coglioni. – Si legge appena girata la prima pagina – Prelevarne parti, pesarle. Ci sono rognoni da spacchettare dal loro proprio grasso. Sgusciano come fave dai baccelli. Hanno il colore della prugna.

La macelleria è dove lavora lui, il padre Gino. La sua è la sacrosanta quotidianità. Lavorare come bisogna fare: veloce, preciso, pulito. E dopo tanti anni il volto del cliente non ha segreti per il suo sguardo, così come la carne morta che taglia e spacca con le lame non ne ha per le sue mani.

Ci sono zampe di pollo da troncare via, teste di pollo anche. Ci sono carré di agnello con i segmenti delle ossa del torace che puntano in alto. Come batteristi nell'assolo i macellai colpiscono con la lama tra segmento e segmento per creare le cotolette da fare al forno, alla brace, alla milanese. Suoni come di mitraglia, lame tra la carne e tonfi sul legno del ceppo. Bilancia, soldi, altri soldi in resto.

E poi repentinamente eccolo l’agnello, quello della sovraccoperta, rossa sangue che ricopre il bianco di quella rigida. Due colori per le due anime del libro: quelle della carne e dello spirito.

Spaccare la testa dell'agnello che sembra guardarti con le sue pupille che non vedono nulla, farlo in centro, le ossa, la lingua emerge. Spaccare con pochi colpi nello stesso solco. Si vede l'anatomia della testa, i meati della respirazione, la teca del cervello, l'attacco della vertebra nel cranio. Prendere velocemente mazzi di alloro e rosmarino - se c'è, della salvia - pregustare in verità il profumo del cibo nella casa del cliente questa sera, ingolosirsi, presumere il tipo di cottura che faranno.

Ma il padre macellaio è solo l’incarto. Le pagine si sfogliano tra le dita ed è da un dito che inizia tutto. La vita scorre come un fiume, sembra calmo nel suo letto. Basta un argine che cede, un incidente e il corso non è più quello. Così il protagonista cambia e dopo 20 pagine ti chiedi cos’abbia, se malato, risvegliato oppure se quel sangue macellato degli animali che squartava si sia mescolato col suo. Se sia entrato nelle vene, da quella ferita, da quel taglio che gli ha quasi mozzato la falange, che ha cambiato le cose.

Invernale: il tema del libro

Il romanzo vaglia l’intercapedine tra sensazione e percezione, pensiero e non detto.

Come l'acqua della falda trova i suoi percorsi per salire alla superficie della piana, così un suo giacimento interno comincia a fare qualche capolino. […] queste risorgive che provengono dal suo profondo lo incuriosiscono persino. Ma continuano a salire, a manifestarsi ora qua ora là. Quelle che spuntano non si asciugano e altre ne arrivano. Quali paratie erano all'opera da prima? Con quale forza le teneva a sigillare quella falda? Quali si dischiudono, ora? Questo dischiudersi è la causa o l'effetto della sua stanchezza?

Invernale è un libro che mostra nitidamente come la vita non sia affatto una linea retta di vicissitudini. Quella magari è l’esistenza. La vita piuttosto è una concatenazione di cause ed effetti che deviano dalla normale corsa. Un problema dietro l’altro, si potrebbe semplificare. C’è sempre qualcosa che devia da quello che viene reputato l’abituale andamento: un incidente sul lavoro, un malessere momentaneo, una malattia improvvisa. Oppure solo un pensiero diverso, qualcosa che prima non era mai venuto in mente, o un tragitto alternativo per andare al lavoro.

Voltolini descrive in maniera ineccepibile il momento in cui per il padre cambia tutto, quell’istante in cui egli ha cessato di essere ‘solo’ il macellaio che ogni mattina si sveglia all’alba e fa lo stesso tragitto con l’auto per andare al mercato di Porta Palazzo e aprire bottega, in una Torino degli anni Settanta. L’uomo che ama guardare la Nazionale in tv o fumare una Nazionale appartato. Che programma le battute di caccia. Il padre che accompagna la famiglia nella nuova quotidianità delle vacanze in Liguria. Non potrà più fare queste ‘cose normali’ dal momento in cui la vincristina inizierà a entrare nelle sue vene e a combattere contro il linfosarcoma.

Lo sguardo del figlio

Il cambiamento nella vita del padre è parallelo a quello delle descrizioni. Non c’è flusso di coscienza, né si conoscono i suoi reali pensieri dato che tutto è descritto dagli occhi del figlio Dario. C’è dunque il senso del disparte, lo stare sulla soglia, osservare. Lo sguardo del figlio sembra sempre non voler disturbare le azioni del padre, la sua vita fatta di tagli precisi nel rito della macellazione. Così il tempo che scorre tra le parole è pura percezione agli occhi del lettore. Giorni e ore passano tra una parola e l’altra, sfilano tra le virgole. Un punto, un a capo e già sono trascorse settimane.

Il tempo porta il suo peso, la sua essenza è fatta per non esitare né rimanere. E allora quello sguardo del figlio è fatto di azioni. La praticità dell’esistenza non può comunque essere abbandonata: siamo esseri di carne e sangue. I numerosi viaggi alla clinica di Villejuif alle porte di Parigi, scambi di treni e aerei, esami e prelievi. Stanchezza e speranza come se fossero una sola cosa.

La vita, che non sa fare altro, procede. Ciò che avviene intimamente in lui, inteso come soma, comincia a manifestarsi all'esterno. Un modo più circospetto di camminare, una cautela nel gesto, un'attenzione a cose che altri non vedono.

Il dolore diventa sacro e scava tra le falde delle parole, facendo capolino senza recriminazioni. Un dolore che è un dato di fatto, mai banale né compianto. Un dolore che si fa sempre più presente man mano che la presenza del padre affievolisce e rimane solo quella del figlio. Lui che, quando sente la morte avvicinarsi, si sente freddo. E tutto si compie nel passaggio dai corpi morti degli animali macellati, a quello del padre che piano piano si è indebolito, fino alla descrizione del corpo del figlio.

Non c’entra nulla il clima, che anzi si sta surriscaldando nel pomeriggio senza vento. Sono io che divento freddo. Ghiacciato. Non riesco a muovermi, sto nel letto. Sono freddo, congelato.

Il dolore si propaga dall’anima al corpo. Il dolore è un tempo invernale. E Invernale è la celebrazione dei ricordi di una vita.

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