Analisi dell’opera di
Francesca Delvecchio
Matteo Bussola, Il rosmarino non capisce l’inverno, Einaudi 2022
Cosa prova una donna quando deve affrontare i pregiudizi della società? Quelli culturali, familiari, patriarcali? Nonostante la copertina pastellata e tenera, Il rosmarino non capisce l’inverno non è un libro di storie semplici. E non è nemmeno il romanzo classico con una trama univoca: è piuttosto un insieme di racconti, la cui coralità si stringe attorno al filo rosso di diritti, decisioni, sogni, ma anche dubbi. In ogni racconto c’è la storia di una donna e il titolo è il suo nome. Una scelta che ha un duplice potere: quello di rendere ognuna di loro un personaggio fondamentale del romanzo corale - e infatti l'architettura del libro farà sì che si conoscano tra loro, pur rimanendo protagoniste delle proprie storie -, ma anche di dare identità a donne che sono archetipi di alcuni dei pregiudizi che attanagliano il mondo femminile.
«Cara, vedi, il fatto è che spesso siamo i nostri peggiori nemici, - dice. - Perché preferiamo fare quello che ci riesce, o ciò che le persone che ci amano si aspettano da noi, piuttosto che fare quello che ci piace davvero. Preferiamo sentirci adatti a un ruolo già scritto, andare sul sicuro. E alla mia età posso dirtelo serena: è un gran peccato».
La guardo per qualche secondo.
«Non fraintendermi, - dice. - Tu sei bravissima nel tuo lavoro, sai? Sei professionale e carina, ma quella che entra qui tutte le mattine chi è? Quale delle due?»
«Delle due? Delle due, chi? - dico infastidita. - E poi perché si preoccupa tanto? Perché si interessa del mio lavoro?»
«Perché, l'interessamento dev'essere a senso unico? Solo tu puoi prenderti cura di me?»
«Bè, l'infermiera sono io».
«E questo stabilisce parti impermeabili? Se tu sei quella che cura, allora credi di non poter stare male? Di non dover avere mai bisogno di aiuto?»
«No, cioè, io non...»
«Perdona la mia invadenza. È la morfina che mi scioglie troppo la lingua, scusa».
- da Margherita (Speravo di non trovarti ancora qui)
Storie di donne
«Ho deciso di scrivere di donne perché non sono una donna. Perché ho la sensazione di conoscerle sempre poco, anche se vivo con quattro di loro. E perché è più utile scrivere di ciò che vuoi conoscere meglio, invece di ciò che credi di conoscere già». Questo scrive Bussola nella seconda di copertina e già è un invito chiaro e conciso alla lettura, ma anche un avvertimento. In queste trame, i semi che lo scrittore e illustratore butta tra le righe riescono nel loro intento: quello che di destare domande e provare a dare risposte. Bussola ci riesce: sa scrivere di donne, sa trasporre su carta alcuni dei loro pensieri più intimi, quello che nemmeno le donne stesse a volte riescono a tradurre in parole o in riflessioni compiute.
Ho incontrato di nuovo la signora anziana un paio di giorni dopo, l'ho vista uscire dall'ospedale. Ho pensato che fosse andata a far visita a qualcuno, o che fosse un medico, infine mi è venuto in mente che potesse essere malata.
Magari era lì per qualche terapia, le sue parole sulla morte mi sono suonate improvvisamente diverse. Capita che le persone dicano cose che noi adattiamo alla nostra esperienza, e solo più avanti ne comprendiamo il vero significato.
Stavolta, invece, il significato delle mie parole è uno: scrivo questa lettera per dire alla donna che ti ha strappato da me, da noi, che non ce l'ho più con lei. Perché penso che sia già stata punita abbastanza. E perché, sì, l'ho odiata, l'ho insultata, ho immaginato di farle male, ma poi ho capito che la sua unica colpa è stata quella di credere all'amore, proprio come ho fatto io.- da Sara (Una ragazza così fortunata)
Il montaggio scenico dei racconti
La lettura scorre veloce grazie a uno stile discorsivo e colloquiale. I dialoghi avvicinano i personaggi al lettore, rendendoli attuali. Ogni donna ha a disposizione poche pagine per raccontarsi in questo libro, così la varietà e la moltitudine di temi spostano l’attenzione sempre su qualcosa di nuovo. L’apparato di costruzione riporta la lezione delle serie tv in voga oggi. Non vi è l’architettura più complessa e articolata di un romanzo classico, quale può essere quello di formazione o storico. Il montaggio scenico quindi non è quello di un film, eppure lo sguardo su queste donne è trasposto come se fossero vere e proprie riprese di telecamere. Gli occhi del lettore pesano sulle loro vite, tanto quanto quelli degli altri personaggi. È come se sentissero di non essere sole ed è davvero così nella società di oggi: una donna non si sente mai libera abbastanza di fare, dire, mostrarsi per quanto ci provi o sia convinta del contrario. Per questo le donne di questi racconti camminano guardinghe sulla linea degli eventi, difendendosi a colpi affilati di flussi di coscienza.
La narrazione tra pregiudizio e femminismo
E appunto. Cosa si pensa di una donna che all’improvviso lascia figlia e marito? Cosa si nasconde dietro una stacanovista sul lavoro che non sopporta concessioni? C’è una ragazza che studia e lavora sodo ma non ha la stessa vita di un’altra con la pelle bianca. È legittimo pubblicare i propri video sulla rete mentre si fa sesso? E se lo fa una donna, qual è il primo pensiero che sorge? A tali domande forse anche alcune donne avrebbero difficoltà a non condannare certi personaggi femminili del libro. Altri ancora anche se non vengono condannati, non vengono del tutto capiti, quindi accettati. Bussola, col suo stile scorrevole e veloce, obbliga il lettore a interrogarsi sugli squarci della società che mostra. Dunque spesso chi legge si sente in dovere di rispondere ai solleciti: sono d’accordo? Posso accettarlo? È proprio questa l’anima del libro: la provocazione del pregiudizio. Quanto siamo disposti a mettere da parte certi pensieri di molta della cultura patriarcale che ci ha cresciuto per accettare determinati concetti? Non si tratta solo di idee, ma di diritti sopra cui molti metterebbero il cappello di “femminismo”. In realtà, questi diritti quantificano il concetto di libertà di un individuo: il diritto di chiudersi nei ricordi della giovinezza se malati di demenza senile o la celebrazione di un amore libero tra due ragazze o tra un giovane e una donna matura.
Nonostante alcuni temi sollecitati avrebbero bisogno di più tempo per essere analizzati e narrati, Bussola riesce a fare sì che le sue donne rispondano da sole con le loro fragilità e forze, tentativi di farcela tra dolore, sofferenza e incomprensione. A volte le risposte non sono soddisfacenti: non si può ridurre un tema complesso come quello di non volere figli al non poterli avere; così come la malattia terminale è un cliché facile da utilizzare.
Eppure quella di queste donne è una battaglia psicologica, che combattono tra inconscio e consapevolezza di loro stesse in una società da sempre e per sempre incatenata ai riti del pensiero dominante.
Le ferite della vita
Secondo l'esercito di tuttologi che mi circonda dovrei «riprendere a vivere», così, in uno schiocco di dita. Ma per me è un'impresa qualsiasi cosa vada oltre la routine quotidiana, figurarsi affrontare la burocrazia. Che mi piaccia o meno, sono un'invalida. Fosse per me, giuro che lascerei perdere, ma mamma insiste: «Avere delle agevolazioni è un tuo diritto». Mia sorella invece la butta sul ridere: «Pensa che dopo avrai il parcheggio garantito!» Fantastico, chi non sacrificherebbe il proprio seno per quattro strisce gialle dipinte per terra, in cui piazzare la macchina? Ma so che, sì, anche questo è un mio diritto, e in qualche modo la vita deve risarcirmi per ciò che mi ha tolto.
da Maddalena (King of pain)
Quello che, infine, riesce a fare Bussola è riportare il dramma insito in ogni essere umano, perché che la vita sia una lotta continua tra se stessi e gli altri lo sappiamo tutti, ma non basta metterlo su carta o descriverlo. Bussola riesce a mostrarlo in queste storie di donne tutte diverse, ognuna con le proprie ragioni e modi di essere, ma tutte con lo stesso desiderio: essere capite, amate, volute.
Molti racconti sono un pugno allo stomaco. Ricordano che la vita può anche essere mostruosa e aprire ferite che non guariranno mai. E mentre tutto prosegue come da copione, i suoi personaggi imparano lezioni di vita da tramandare al lettore. Non c’è mai vittoria o perdita, solo il tragico destino che accomuna il genere umano: la vita è diversa per tutti, ma nasconde sempre l’incognita X da provare a risolvere. Non sempre è risolvibile in senso materiale, il più delle volte lo è in senso cognitivo. Capire la lezione significa risolvere l’equazione. Eppure dopo la comprensione la vita non diventa più semplice per forza: a volte è un’equazione dietro l’altra, in altre c’è la morte che mette il punto. E se alla fine arriva l’inverno e la finitudine dell’essere umano viene colta con dirompente determinazione, rimane sempre però qualche scintilla: il voler bene a qualcuno, il pensiero di poter essere migliori, la gratificazione nel riuscire ad adattarsi in mezzo agli altri. Alla fine rimane sempre un rametto di rosmarino che resiste al freddo e che l’inverno proprio non lo vuole capire.
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