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Il combattimento di Alessandro Fo

di Davide Rondoni

Del recente, non recentissimo, libro di Alessandro Fo, "Filo spinato", Einaudi 2021, già molti se non moltissimi han detto e sottolineato qualità e inquietudini. E rimando perciò alla entusiasta recensione di Cinzia Demi su "Affari Italiani", o altre attente come quella di Giada Mattarucco su "Allegoria". A me interessa del lavoro di Fo un elemento che forse sfugge ai più: la lotta. Apparentemente colloquiale, la temperatura linguistica sorvegliata e sospesa su molti momenti di bilico, di sospensione e riprese, offre a mio avviso nel disegnare panorami personalissimi e collettivi, incontri, memorie, figure, il teatro profondo di una lotta. E credo che sia una lotta contro se stesso, o meglio, contro la possibile presunzione intellettuale di "dire" il mondo. Una poesia davvero impegnata in una guerra estrema contro l'ego del poeta medesimo. E non tanto infatti è bersaglio l'egotismo altrui, spesso irriso o guardato con occhio commiserevole o feroce da Fo, quanto il proprio possibile egotismo. E qui sta il valore del libro, a mio avviso, o meglio il valore che dà giusto risalto e orizzonte agli altri - valori di resa plastica, di consapevolezza nel trovare cose e situazioni rilevanti entro temi eterni, capacità di passare da elementi periferici e quotidiani a orizzonti unanimi... Non si tratta di un flaneur iperletterario e coscientissimo dei suoi strumenti a passeggio da rovinosi panorami umani, tra curiosità letterarie e dolcissimi debiti con persone e autori. No, si tratta di un guerriero che si taglia il petto, come immagina di essere Rimbaud (si potrebbe citare poeta apparentemente più lontano? Eppure sta forse in questi strani incontri il segno di essere nel vivo dell'arte poetica). Credo che "filo spinato" sia la personale "Stagione all'inferno" di Fo, ovvero il suo fare i conti, senza nessuno sconto, rimbaudianamente giocandosi l'anima con il precipizio più alto. Il tempo, l'accuratezza del sapere, la sua mole, e soprattutto la mole degli incontri, delle perdite, degli incanti - tutte le presenze che emergono e si smarriscono in "nebbie" di versi, ecco la guerra, in cosa si perdono, in niente? E pure la persona stessa del poeta dove si perde? Non a caso la persona-poeta è presente pure col suo cognome in rima facile - "- quasi sprezzatura letteraria, ma a ben vedere no. Perché la rima proprio con quel verso non è casuale, nel testo dove l'addetta alle Poste, che accoglie i suoi versi allo sportello per le spedizioni gli chiede quando mai scriverà un vero libro e gli prefigura un oblio letterario: lo so/ Fo". Tutta la letteratura occidentale darebbe, dice il poeta che dice di non saper pregare, per quel "vanio" ("Ave maria" cantando, vanìo/ come per acqua cupa cosa grave") che compare nei versi dedicati da Dante in Paradiso a Piccarda). Ovvero uno svanire cantando, in un'acqua cupa eterna e luminosa...

La letteratura non è il destino del mondo. E nemmeno del poeta. Questa la guerra, la vera trincea del "miles" Fo, lui che di letteratura è imbevuto fino a esserne travolto e salvo. Il filo spinato di tale trincea sa lacerare chi sta nella buca, chi poi esce allo scoperto, chi studia e scrive, chi si dedica alla poesia altrui. Non si tratta solo, come giustamente è stato notato, di un libro "altruista", tutto teso a rendere "giustizia" o meglio pietas a una serie di figure note e ignote, frequentate a lungo o intraviste per poco. Fo è maestro nel restituire il clima di queste lunghe consuetudini o di fuggitive apparizioni. I poemi antichi lo hanno cribrato. Ma appunto sospetto che non si tratti "solo" di un libro altruista, di una poesia cordiale e attenta, compassionevole e ferocemente lucida. C'è una mina nel suo territorio, il miles Fo sa che può saltarci in aria la sua anima. Il combattimento è sottotraccia, emerge talora, ma è perlopiù segreto, come ogni vera guerra. E così, come accade nei migliori, quando tocca, con un pudore spudorato, il proprio limite, la poesia fiorisce (e ferisce) al suo meglio.

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