Home » I visionari del secolo d’argento. Poesia e rivoluzione russa del ’17

I visionari del secolo d’argento. Poesia e rivoluzione russa del ’17

Compito dell’artista, dovere dell’artista è ascoltare la musica, di cui tuona l’aria lacerata dal vento.

Alksandr Blok

 

Si chiama “Secolo d’Argento” il periodo letterario in Russia che fa da sfondo alla Rivoluzione e oltre. Non è possibile darne una definizione; può essere descritto come “rinascimento spirituale russo” per indicare “la grande frenesia degli intelletti e degli animi”, le “turbinose ricerche” filosofiche e estetico-letterarie, “il risveglio delle energie creative”, “l’acutizzarsi della sensibilità religiosa e mistica” (Berdjaev). In termini di spazio temporale, il Secolo d’Argento si colloca tra la fine dell’ ’800 e la fine degli anni ‘20, quando irromperà in tutta la sua forza il realismo socialista. Si interrompe, ma non termina. E’ strano quello che succede in Russia negli anni precedenti la rivoluzione. Sembra che tutto, dalle arti ai mestieri, concorra verso un fine presentito ma non ancora detto. Vi è come un’aurea profetica, visionaria, a volte delirante e quasi sempre assolutamente lucida. Si instaura quasi una dinamica dell’attesa portata all’eccesso. Per rendere meglio figurativamente il palcoscenico in cui andranno ad inserirsi i poeti  che canteranno dell’ “attesa”, c’è una bella metafora in Attalea Princeps, un racconto di Vsevolod Garšin, scrittore russo vissuto tra il 1860 e il 1880. Attalea Princeps è la storia di una palma brasiliana, rinchiusa in una serra di vetro insieme a tante altre piante esotiche di straordinaria bellezza. La palma vorrebbe fuggire perché ha nostalgia del cielo che vede attraverso la serra. Comincia dunque a crescere e crescere e finisce per squarciare il tetto della serra, ma a quel punto muore, perché fuori dalla serra si congela. La palma rompe dunque la serra con la sua irruenza, la sua voglia di libertà, il suo smanioso tendersi al cielo, il suo coraggio, ma muore, perché poteva sopravvivere solo in quella serra, solo in quell’ambiente. L’ambiente in questione è la società russa prima della rivoluzione, una serra anch’essa: chiusa, surriscaldata, dove regna l’assolutismo, una società gerarchica, stagnante nelle sue forme, soffocante. Paradossalmente questa società ha prodotto quanto di più vivo e strabiliante dal punto di vista delle arti e del pensiero. Solo in quella società potevano nascere simili piante esotiche. Solo in quella società poteva farsi strada il moderno. Quanto più una società è chiusa tanto più potente è la spinta che si genera al suo interno. La palma cresciuta in quella serra cresce, esplode in tutta la sua fioritura, getta le basi del XX secolo e poi muore. Questa palma è il simbolo del Secolo d’Argento.

Tra i poeti che meglio di tutti seppero tradurre il suono di quest’epoca, il suono degli anni che precedettero la rivoluzione del 1917, gli anni della reazione, della censura, del dispotismo e dell’impotenza zarista, fu il poeta Aleksandr Blok.

In questa atmosfera surriscaldata,  Blok ha voluto guardare il suo tempo fino in fondo, l’ha scorto in tutta la sua tragedia, senza accuse né rimpianti, ma con la sola magica intuizione della constatazione delle cose.  Seppur inizialmente Blok cantava della nostalgia del cielo e della perenne attesa della “Sposa celeste”, successivamente la sua visione si tinge di pessimismo. La sua tragedia vista e cantata non riguarda certamente la politica, ma è in ultimo la tragedia dell’assurdo, del non-senso, dell’esistenza dell’uomo senza più scampo. Ecco gli otto versi più famosi del Secolo d’Argento:

 

 

Notte, strada, lampione farmacia,

luce fioca e senza senso.

Vivi ancora un quarto di secolo,

non cambia niente, non c’è scampo.

Morirai, daccapo ricomincerai 
e tutto si ripeterà come prima:
notte, il gelido incresparsi del canale, 
strada, lampione, farmacia.

 

A prova del suo guardare il proprio smarrimento e il proprio tempo senza nulla omettere, nel 1911 Blok pubblica Nočnye Časy (Ore notturne), una raccolta poetica in tre volumi nella quale confluiscono poesie di sue precedenti raccolte. In Nočnye Časy si canta principalmente del malessere dell’uomo, malessere generato dalla perdita dell’anima.

Com’è difficile andare tra la gente,

far finta di non essere morto

e raccontare a chi non ha vissuto

il gioco della tragica passione 

 

Ma la cosa interessante è che in Nočnye Časy, che pare essere l’acme della depressione del poeta, sono presenti anche poesie contenute in raccolte tra le più ottimistiche della sua produzione. Leggiamo nella poesia Russia:

Io non so compatirti,

e porto cautamente la mia croce…

e qualsiasi stregone tu voglia,

dona pure la bellezza brigantesca!

 

Che ti affascini egli ed inganni

non ti perderai, non perirai,

e solo la preoccupazione annebbierà

i tuoi bellissimi tratti…

 

Ebbene? Per una preoccupazione in più,

per una lacrima il fiume è più rumoroso,

ma tu sei sempre la stessa – foresta e campo,

e il fazzoletto rabescato fin sulle ciglia…

 

E l’impossibile diventa possibile,

la strada lunga è leggera

quando splende nella lontananza della strada

lo sguardo di un istante di sotto il fazzoletto

 

(trad. di E. Lo Gatto)

 

L’impossibile diventa possibile, dunque. Ma qual è, secondo Blok, l’impossibile che diventa possibile?  A mio parere, uno sguardo trasfigurato attraverso cui si guarda il mondo può rendere ragione di tutto. Se in quegli anni quasi tutto il mondo diceva “Dio è morto” e parte del mondo diceva “vivremo senza di Lui”,  la Russia, o parte della Russia, diceva: “se Dio non c’è, lo facciamo noi!”.  Se la rivoluzione russa sembra essere, con tutte le peculiarità del caso, una tra le più grandi  conseguenze di questa affermazione. È bene però affermare che senza la poesia, tutto quello che “è passato in mezzo” non si vedrebbe.  Non si vedrebbero ad esempio i bagliori tragici e gloriosi della battaglia, non si vedrebbe la ricerca spasmodica di qualcosa di grande seppur incontenibile nei suoi sviluppi:

Eppure ti riconosco, principio
di giorni grandi e tumultuosi!
Sulle schiere nemiche, come un tempo,
Il rumore e le trombe dei cigni.

Il cuore non riesce a vivere di pace,
non per nulla le nubi si sono raccolte.
Greve è l’armatura, prima dello scontro.
Adesso è giunta la tua ora. Prega!

E se nella prefazione al terzo tomo della raccolta Nočnye Časy, Blok scrive: “malgrado la notte vorrei che il lettore vedesse il crepuscolo del futuro”,  si può affermare che la rivoluzione russa, non fu solo una catastrofe ma anche la possibilità di intravedere ciò che precede la notte, ciò a cui è bene tornare.

 

 

Isabella Serra

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto