Con Grazia. Con forza.
Intervento di Angelica Grivèl Serra, scrittrice, tratto dal convegno con titolo "Grazia Deledda, la donna che non mise limiti alle donne", svoltosi a Roma, venerdì 29 ottobre 2021, all'interno delle celebrazioni dei 150 anni dalla nascita della scrittrice premio Nobel per la Letteratura.
L'evento è stato organizzato dalla Commissione per la Biblioteca e l'Archivio Storico del Senato della Repubblica, alla presenza della Presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati, del ministro della cultura Dario Franceschini e di eminenti personalità (nazionali e sarde) del mondo intellettuale e politico.
Comincio il mio breve contributo con una lettura; e la frase che leggerò ha assunto oggi statuto di aforisma, perché è tratta da un discorso molto noto, quello che Grazia Deledda pronunciò nel 1926, al momento della consegna del Nobel. Così dice: “Se vostro figlio vuole fare lo scrittore, sconsigliatelo fermamente. Se continua, minacciatelo di diseredarlo. Oltre queste prove, se resiste, cominciate a ringraziare Dio di avervi dato un figlio ispirato, diverso dagli altri”.
Ecco: peccherò sicuramente di mostruosa tracotanza, nel dichiarare (ancorché sommessamente) che mi ritengo ambasciatrice di queste parole. Questo perché ho già conosciuto operazioni di dissuasione chirurgica e certi ostracismi, quando si tratta del mio scrivere, ma al tempo stesso ho impattato e so cosa significhi essere apprezzata per ciò che scrivo: conosco l’amore di chi mi legge. E per me è davvero un fatto impagabile.
Dico tutto questo con cognizione, a prescindere dal fatto che io abbia 21 anni e che abbia pubblicato per ora un solo libro, proprio perché è da Grazia Deledda che ho imparato che la letteratura è fede, e che la sacralità della vita insegue quella della parola. La parola ha un potere di creazione inestimabile, peraltro; e Grazia Deledda era davvero araldo di questo pensiero.
E ribadisco tutto con ancor più ferma cognizione, perché so già di voler fare della scrittura la mia vita, a dispetto del fatto che mi attesti ancora come studentessa universitaria. Sì: io so che la scrittura è la mia via. E anche in questo mi ispiro, evidentemente, a Grazia Deledda: lei che, pur abitando a Roma, immersa nel mondo, in realtà era chiusa al mondo, e nonostante ciò (o forse in virtù di questo) viveva per scrivere. E per scrivere le bastava semplicemente la stregoneria della sua mente: la scrivania come macchina del tempo, la penna come bussola.
Questo è ciò che voglio emulare; so che i passi sono tanti, ma ci vuole anche una certa caparbietà, quella tipicamente sarda, che so scorrermi nelle vene.
Ravvedo in Grazia Deledda un paradigma anche per un altro motivo, infine.
Per retaggio materno, porto con me un principio, che nel lessico familiare è stato ribattezzato ‘codice delle 4 D’, ed è così costruito, secondo una precisa, ordinata consecutio: determinazione, disciplina, decoro, dignità.
Ecco: se queste mie quattro D rappresentano per me un’attitudine morale, in realtà ho scoperto di constatarne l’esistenza, con strabiliamento, anche in Grazia Deledda. E le vedo sia nel suo cupo e biblico scrivere, che nella sua ferrea personalità. Perché Grazia Deledda, se la si studia concretamente e con premura, (sebbene purtroppo ancora scandalosamente orfana di troppe antologie scolastiche) la si scopre esser incarnazione autentica di queste 4 D.
Grazia è la determinazione del procedere a dispetto di tutte le voci critiche che cercarono si spargere sfaceli attorno a lei.
È la disciplina dell’estorcere storie da sé, dalla sua Sardegna (non ci vuole forse costanza per scrivere e soprattutto per non copiarsi?)
È il decoro del suo costitutivo esser Sarda.
E, naturalmente, è anche la dignità totalizzante, da non riconoscersi solo per il cruciale Nobel.
E quindi, se Grazia disse – prima donna candidata al Parlamento, pur se non per sua volontà, nel 1909 – ‘La Sardegna si difende nella capitale’, ecco, io credo sia doveroso, oggi più che mai, che siamo noi a difendere lei.
È quindi dovere tassativo riscoprirla.
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