di Davide Rondoni
Giorgia Mastropasqua, Al mondo vuoto, Controluna edizioni 2024
Colpisce nella voce di Giorgia Mastropasqua un doppio fondo, o chiamatelo doppio registro, dove a un percezione e tratteggio vivissimo di situazioni (conversazioni, passeggiate, luoghi) si affianca con naturalezza mirabile una voce del profondo che accarezza e tocca i temi ultimi del vivente. E non teme di pronunciare parole come "destino". Intendo che la delicatezza di un dettato mai sopra le righe, consono alla migliore tradizione della lirica italiana quando sceglie di stare in una petrarchesca lingua media, si sposa con il coraggio di portare la poesia e con lei la vita sui confini dove si esce dalla cronaca psicologica e sentimentale e si aprono gli spazi, anche gli abissi, della meditazione esistenziale portata da un gesto elegante e lieve. Il mondo "vuoto" si rivela dunque come il possibile vuoto di una impronta, ovvero segno che occorre indagare. Ne è segno la natura interrogativa - al di là della esibizione di punti interrogativi - della raccolta. Qui l'autrice tocca uno dei punti infuocati della modernità: la possibilità ancora attiva di leggere il mondo e le sue esperienze come segno non solo come apparenze. Come invito e non solo come velo. E se nel segno di Borges la realtà e le sue relazioni - compreso l'amore - sembrano destinati, anzi fatti per "cedere", come la vicenda biografica a cui nel corso del libro si accenna, resta - diffusa in versi di grande forza e di eleganza naturale - che
gli spiriti dispari
raccolgono scintille
grazia inesausta su fondo nero.
Di queste scintille, di tale grazia inesausta è lucente e abitata la poesia della Mastropasqua, il suo doppio sguardo. E ci porge con espressione seria il suo dono meraviglioso.
Figura
Servirebbero sensi nuovi
e strabilianti
nuovi raggi digitali
striati come iride
nella vivente espansione.
Nuovi sensi per sapere
una parte di me
del mio corpo notizie frammentarie
risalgono l’oceano
del buio e di silenzio.
È necessario invecchiare
per cominciare a distinguersi
è necessario dissolversi
tracciare un itinerario di piccoli dolori
a cristallizzarsi è il fastidio
nella coscienza.
E io ho due cuori
due cuori irradianti
oltre la circonferenza
dentro la circonferenza
nel vuoto
pupille cieche o rapite nel sogno
non si danno pena di cogliere sé stesse,
sfere celesti in orbita stanca
millenaria fatica del sonno
talvolta inciampano, in sistole
sul pozzo della fase di veglia.
Ho due cuori, solo un’anima il mondo.
Il senso nuovo è uno strumento di misura
scandaglia profondità e nient’altro
è segreto pneumatico, scintilla vivente
è Pesce abissale avido di luce
luce di chiavistello.
Una cornice
Puoi chiamare vano
il mio ritmo
ma non conosci il tempo
degli alberi
l’esule sul cammino della foresta
cento anni per volta
e una luna per aprire gli occhi
ai fiori notturni.
Si cresce nel silenzio
tutta la noia è essenza
corrente inebriante.
Nuove forme al bivio
dei legamenti
diversi percorsi
fra il gomito e la gemma
inflorescenza.
Ma anche questa è nostalgia
logica del corpo immemore
battito del ventre, terremoto,
aritmia, tutto è uguale
nella lingua delle forme.
Una cornice? No, è voluta
folta di ghirlande, fregi e
numeri, sigillo degli spiriti
nelle sue spire m’addentro
tessendo itinerari
di corrispondenze
pronta a soffiare nel sole
al mattino che torna.
Ozma
Scesa la sera, umida e fredda, è cieca la finestra grande,
sopra la spalliera, dietro i veli, tristi.
Quando la sera è umida e fredda spengo la luce d’un tratto,
nell’oscurità balugina l’etere
saturo d’acqua, risplende, di luce elettrica occulta
esala nebbia azzurrina, un vapore ascendente.
Oppure è la stanza che si inabissa
la finestra, offuscata, collassa e io insieme,
verso il fondo d’un mulinello
di tempesta che ingoia per incanto.
Come un castello si affonda
ma è pur sempre di fiaba questo affondare.
Fotografia
Delle parole scheletriche
a tratti, prendo coscienza
come se questo mio cuore
se questo tenero paesaggio
non fossero che un riflesso
ma esangue e sottile, di lei
vivace, tracciata a grandi linee
fotografata poco, irriferibile.
Io che la conoscevo
scenario nebuloso, folgorante permanenza,
pure se descrivo il movimento della vita
ora mi perdo tutto l’imbarazzo,
la vergogna e ogni sua durezza.
Giorgia Mastropasqua è nata nel 1986, ha studiato lettere alla Sapienza di Roma. Per 5 anni è stata redattrice della rivista Il Caffè per la quale ha curato la rubrica Buio in sala. Tra le sue collaborazioni troviamo L’Unità, Paese Nuovo, le webzine musicali Indie-eye, HateTv, OndaAlternativa, MusicLetter, 06Live e Nerds Attack.
Suoi componimenti sono apparsi su riviste come Ellin Selae, Suite italiana e Pastiche. Nel 2015 ha pubblicato Grazie per gli Spiriti (Il Menocchio), nel 2016 è fra le autrici di Streghe Postmoderne (Alter Ego Edizioni). Al Mondo vuoto è la sua prima silloge poetica.
Mi chiamo Salvatore Vitale, sono un insegnante in pensione.
Amo molto la Poesia, ne ho scritto anche un opuscolo che ho pubblicato a mie spese.
E’ bellissima questa poesia di Giorgia Mastropasqua, eterea, un pò metafisica.