di Davide Rondoni
Roberta Ioli, Fuochi alleati, Pequod 2024
"Fuochi alleati" di Roberta Ioli edito da Pequod è un libro di rigore bizantino ai margini della morte e delle sue figure. Cioè della vita.
Un libro dove tra le pagine, in certe cadenze dei versi, gira un'aria da poesia classica (e non a caso, vedendo gli studi dell'autrice). E dove il cortocircuito tra elementi feriali, chiuse gnomiche, refrattarietà al sentimentalismo in favore di tensioni morali e visionarie, collaborano a offrire un'opera compatta, forte e tra le migliori che nell'ultimo periodo mi sia capitato di leggere - e non son poche.
Dove sta il segreto di questa poesia? Non solo e non tanto, come parrebbe, nel continuo cortocircuito tra ombra (la mortalità) e la luce (anche tenue o sfiammante) delle vite - la propria coi suoi amori, le altrui, o persino di una foglia o di una aringa...Tale opposizione, ammesso che abbia un senso (piuttosto vale, a mio povero avviso, l'opposizione tra forza di amore e di morte, come dice l'antico poeta del Cantico dei cantici) costituisce semmai lo sfondo, non il tema - inteso anche in senso musicale, del resto la prima sezione è "L'arte della fuga", dato l'orecchio finissimo dell'autrice. Intendo che su quello sfondo, classicamente ammesso come il battito inesorabile dell'esistenza, si affacciano ben altri e più vivi cortocircuiti, e scambi. Tra attenzione e perdita, tra tenerezza e ardore, tra vita e "tempo, necessità e caso". E quindi, più esattamente, non opposizione ma continua metamorfosi, traendo questa parola certo da Lucrezio ma anche da quel Mario Luzi che ne fece il segno in "positivo" rispetto alle sclerotizzazioni scettiche e nihiliste del Novecento. E se Pusterla richiama più volte il Bonnefoy della immagine della "soglia" io vedo anche una certa consonanza con gli sguardi dell'ultimo Milosz e di Walcott. I "fuochi alleati" sono presenze, amicizie, amori, apparizioni, ma anche combustioni che da tali alleanze traggono forza di metamorfosi, rompendo lo schema duro delle opposizioni e dei contrari. Il gioco del vivente a cui la poetessa guarda con versi esatti, memorabili ("l'attimo stordisce l'ultimo respiro" p. 20) con immagini e metafore profonde (gli scogli come eremiti nelle onde, per una legge di "conforto delle cose nude" p. 22 e le memorabili poesie dell'aringa p. 47 e della nebbia p. 59) e convocando figure della storia e della letteratura (dal pittore Bellini a san Tommaso, da Anna Karenina al Principe Salina) non è un gioco già fissato. Qui la partita non è calvinianamente chiusa con una pietrificazione dell'esistenza a cui la letteratura fa da contraltare, da opposizione di leggerezza. No, l'agone è aperto, l'ultima parola non detta, la tensione è suprema. Alla fine "il pescatore è alla sorgente del suo gesto" e "i gabbiani tornano vicini".
Il libro - che conferma la qualità del lavoro dell'editore Pequod - produce nel lettore un movimento, non una stasi. E quel movimento non ha altro nome possibile che "amore", la forza degli antichi e il fantasma dei moderni che nella poesia come questa, che tiene insieme antico e moderno, risorge, prende campo, Dio e fantasma.
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