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Frammenti Chorastici di Ivan Pozzoni

UNDERGROUND
 
Clandestino, amo di nascosto, e di nascosto scrivo
di notte, schermato, dai fari accecanti di un mondo malato
di rabbia, d’invidia, e di cemento armato.

Furtivo, amo di nascosto, e di nascosto vivo,
nel chiuso anonimo di una stanza,
o nel ventre claustrofobico di un ufficio
inventando rivendicazioni,
contro ricchi, arroganti e rompicoglioni.

Sotterraneo,
amo di nascosto, e di nascosto schivo
i treni del successo, - asini deraglianti-
o meglio, mostri celati dalle nebbie dell’eccesso
della logorrea fraterna di, voi, grilli parlanti.

Underground, resisto,
staccando col martello
i chiodi conficcati nelle mani di un Cristo,
abbracciato alla sua croce, in attesa di martirio,
sputandovi negli occhi versi, e gocce di collirio.

NATI AL CONTRARIO
 
Perché continuo a scrivere?
B., come Bangladesh, aveva
sedici anni, sul davanzale
del balcone d’un liceo milanese,
ma sedici anni non erano abbastanza
affinché Dio l’abbracciasse nel suo salto.
R., come Romania, aveva
tredici anni, sentendosene cento,
e nessun angelo
volava al suo fianco.
E., come Ecuador, aveva
tredici anni, senza che Genova
le ricordasse Quito,
nella solitudine del suo vestire
fuor di marca, disintegrata.
C., come Cina, aveva
dodici anni, consumati in fretta,
affacciandosi a un balcone
col desiderio di non vedere il mondo,
buttandosi nel vortice
dell’ansia da rendimento.
I loro nomi non sono difficili
da dimenticare, sono nomi
- come me- nati al contrario,
schiacciati contro i vetri
delle finestre della vita
saltando dall’asfalto.

HOTEL ACAPULCO

Le mie mani, scarne, han continuato a batter testi,
trasformando in carta ogni voce di morto
che non abbia lasciato testamento,
dimenticando di curare
ciò che tutti definiscono il normale affare
d’ogni essere umano: ufficio, casa, famiglia,
l’ideale, insomma, di una vita regolare.

Abbandonata, nel lontano 2026, ogni difesa
d’un contratto a tempo indeterminato,
etichettato come squilibrato,
mi son rinchiuso nel centro di Milano,
Hotel Acapulco, albergo scalcinato,
chiamando a raccolta i sogni degli emarginati,
esaurendo i risparmi di una vita
nella pigione, in riviste e pasti risicati.

Quando i carabinieri faranno irruzione
nella stanza scrostata dell’Hotel Acapulco
e troveranno un altro morto senza testamento,
chi racconterà la storia, ordinaria,
d’un vecchio vissuto controvento?

PATROCLO NON DEVE MORIRE

Patroclo non vuole morire vittima della sua dolcezza
mascherata dall’ansia della diffusa aggressività [contemporanea],
l’imbarazzo della città indaffarata nello scudo d’Achille non doveva essere indossato,
l’incontinenza delle macchie di sangue sulla corazza d’Achille imbracciata,
incedendo col correre a vuoto, stereotipato, di ogni eroe post-moderno
nelle sabbie inquinate della piana di una Troia padana.

Ettore non vuole commettere un loop di medesimi gesti
orientare il carro, mirare, immerger la lancia nel cuore
immerger la lancia nel cuore, mirare, orientare il carro,
un rude guerriero mai gode a vedere lacrime di donna o cavalli,
concentrato a trovare giusti vocaboli d’addio da rassegnare alla moglie,
anti-dionisiaco deus ex machina, slot machine, disponibile a inforcare
Patroclo, i corretti meccanismi di ragionamento, onore, nazione, famiglia.

Achille non vuole ulular la sua rabbia frustrata
accorrendo straziato, stralunato, stranito, sulla strada del campo di battaglia,
i pit bull terrier rabbiosi s’abbattono con una dose letale di anti-depressivo,
trascinare cadaveri dal carro, stracciar vesti, rapir sacerdotesse danae,
non è in grado di negoziare affetti con la gloria di un padre
e si avvicenda a se stesso, siamese superstite.

Patroclo non deve morire, obbligandoci a brindare a un gioco delle tre carte dove
dolcezza vince, ragione vince, vitalità vince,
dolcezza soccombe, ragione soccombe, vitalità soccombe,
Patroclo muore, Ettore muore, Achille muore, muoiono tutti,
ragione trafitta dolcezza soccombe a una vita incompiuta,
e noi, costretti a mediare, mai eroi medio massimi, martiri da mass media,
restiamo a cantare a metà, condannati a restare smezzati.

QUI GLI AUSTRIACI SONO PIÙ SEVERI DEI BORBONI

L’austriaco, di vera stirpe ariana, è molto severo, non si incanta,
achtung kaputt kameraden, pretende massima flessibilità
in modo da rimettere l’Europa intera a quota Novanta,
bombarda le borse di Milano assolutamente gratis,
meglio di quanto fecero Radetzky o Bava Beccaris.

Potremmo tentare ancora con uno sciopero del tabacco,
mischiando hashish a marijuana con distacco,
anche se non credo che funzionerebbe lo sciopero del lotto,
siamo troppo lontani dai moti del 1848,
ora l’intera nazione tira a arrivare alla mattina,
sognando di incassare un ambo o una cinquina.

Sperando in un ritorno della dinastia Borbone
i milanesi non sono avvezzi alla rivoluzione,
scalpitano, reclamano, ti mandano a cagare,
tornando il giorno dopo in ufficio a lavorare,
non avendo l’energia dei siciliani buontemponi,
l’unica regione a statuto speciale a protestare coi forconi.

Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni,
la Merkel tuona da Bruxelles minacciando risoluzioni
del Consiglio Europeo, in cui siedono retribuiti in modo sovrannazionale
i vari prestanome dell’una o dell’altra multinazionale,
indecisi, con rigorosità scientifica tutta teutonica,
se far fallir la Grecia o un’azienda agricola della Valcamonica.

L’ALIENO

Dei fari si accendono allo sbocco della tangenziale di Milano
stride un rumore di impatto al suolo, brucia il terreno
non è l’inondazione del solito Seveso a creare rumor d’uragano
è sbarcato un alieno.

Arrivano in loco ambulanze e carabinieri richiamati dalla confusione,
l’attracco di un Unidentified Flying Object non è un consueto risvolto;
dalla torre di Cologno Monzese arrivano celeri i fanti della televisione
l’intervista esclusiva su Mediaset Premium amputerebbe ogni indice d’ascolto.

«Dottor Alieno» - sgomita il giornalista pubblicista- «ha intenti di belligeranza?»,
nella speranza di strappare all’alieno una firma gratis sulla liberatoria;
«Somaro mio» - risponde l’alieno- «secondo te sarei sbarcato in Brianza
se avessi avuto intenzione di conseguire anche una mezza vittoria?».

«Sono un alieno, e vorrei lanciare un messaggio alla vostra nazione,
che, insieme a Grecia, Portogallo e Spagna è terrona dell’Unione Europea,
la Bca (Banca centrale aliena) è disponibile a favorire stock option
- come dite voi- in modo che ogni banca d’Italia, attuata una ricapitalizzazione,
abbassi i tassi di interesse ai conti correnti, irritando i colon
dei milioni di risparmiatori italiani fino a crear loro una recessiva diarrea».

La giornalista trentenne, in minigonna e scollatura di rappresentanza
tenta di interrompere l’alieno con una domanda d’ordinanza:
costui, puntando col medio, le manda un fulmine, sparita, via,
com’era abituata, di tanto in tanto, a sparir sotto qualche scrivania.

«Punto due della Bca – continua l’alieno- dovrete incrementare ogni forma di flessibilità,
cioè usate un flex o una mola Bosch sui sorrisi di chi spaccia disoccupazione
sotto la falsa retorica dell’opportunità: dall’era Craxi hanno esaurito ogni credibilità.
Se volevate mandare l’Italia a troie tanto valeva tenersi in Camera Ilona Staller
e smettere di votare, come ciucci, i microcefali epigoni sinistra-centro-destra della Merkel
affrontando sul Transatlantico, MonteTitanic, la punta dell’iceberg della recessione».

«Punto tre della Bca – conclude l’alieno-, se da Arcore arriva Berlusca neanche inizio
non vorrei, tra le varie nipoti di Mubarak, incappare in un’odissea nell’ospizio
(di Cesano Boscone) o se da Firenzi mi arriva il Fonzie con la faccia da cassamortaro
non vorrei spendere milioni di alien-dollari in detersivi a cercar di smacchiare un giaguaro,
dovrete vendere le Alpi alla Svizzera, il Tirreno alla Corsica e l’Adriatico all’Albania
e svuotare l’oceano di un debito pubblico col cucchiaio della gerontocrazia».

All’improvviso a sirene spiegate arriva un’autolettiga della Croce Verde Pavese
due nerboruti infermieri, attenti a schivare medio e media, incamiciano l’alieno genovese
che, divenuto immediatamente alienato, interrompe il discorso e si incammina tranquillo.
Come cazzo hanno fatto a confondere messaggi d’alieno con un comizio di Beppe Grillo?

LA BALLATA DI PEGGY E PEDRO

La ballata di Peggy e Pedro è latrata dai punkabbestia
di Ponte Garibaldi, con un misto d’odio e disperazione,
insegnandoci, intimi nessi tra geometria ed amore,
ad amare come fossimo matematici circondati da cani randagi.

Peggy eri ubriaca, stato d’animo normale,
nelle baraccopoli lungo l’alveo del Tevere,
e l’alcool, nelle sere d’Agosto, non riscalda,
obnubilando ogni senso in sogni annichilenti,
trasformando ogni frase biascicata in fucilate nella schiena
contro corazze disciolte dalla calura estiva.
Sdraiata sui bordi del muraglione del ponte,
tra i drop out della Roma città aperta,
apristi il tuo cuore all’insulto gratuito di Pedro,
tuo amante, e, basculandoti, cadesti nel vuoto,
disegnando traiettorie gravitazionali dal cielo al cemento.

Pedro, non eri ubriaco, ad un giorno di distanza,
non eri ubriaco, stato d’animo anormale,
nelle baraccopoli lungo l’alveo del Tevere,
o nelle serate vuote della movida milanese,
essendo intento a spiegare a cani e barboni
una curiosa lezione di geometria non euclidea.
Salito sui bordi del muraglione del ponte,
nell’indifferenza abulica dei tuoi scolari distratti,
saltasti, in cerca della stessa traiettoria d’amore,
dello stesso tragitto fatale alla tua Peggy,
atterrando, sul cemento, nello stesso istante.

I punkabbestia di Ponte Garibaldi, sgomberati dall’autorità locale,
diffonderanno in ogni baraccopoli del mondo la lezione surreale
imperniata sulla sbalorditiva idea
che l’amore sia un affare di geometria non euclidea.

IL POLLICE IMPONIBILE

La tassonomia caratterizza l’homo sapiens dalla forma della mano,
non distingue l’ominide della Bibbia, l’ominide del Vangelo, l’ominide del Corano;
l’anatomia moderna s’è imbattuta in una scoperta attendibile:
l’italiano medio è dotato di pollice imponibile.

L’aumento esorbitante dei tassi non comporta una sparizione delle tasse,
nessun sessuologo animale è mai riuscito a uscire dall’impasse,
le tasse aumentano, in caso di abbassamento o crescita dei tassi,
saranno tasse ninfomani, lontane dal desiderio di ribassi.

L’Italia è la repubblica fondata sulle tasse, da Nord a Sud,
tanto che a rimettere le cose a posto ci vorrebbe un Governo Robin Hood,
l’italiano medio, ogni giorno, è in ADE a misurarsi la pressione fiscale,
arrivati al 50% chiameremo l’anatomopatologo a certificare l’embolia celebrale.

L’Itaglia è terra d’inventori, si mette una tassa sull’ombra delle tende dei locali,
il massimo del cuneo fiscale (presa per il culo) è la tassa comunale sulle centrali nucleari,
che, in bolletta, ti trovi una tassa EF-EN sull’efficienza (?) dell’energia elettrica,
come cazzo riescono a convincerti dell’incoerenza è cosa comica.

C’è la tassa sul televisore, c’è la tassa sulla tassa, d’incostituzionale disappunto,
e scopriamo che la nostra spazzatura, soggetta ad IVA, ha valore aggiunto,
la tassa sulla morte, intesa come certificato di constatazione di decesso,
ragazzi, ditemi voi, se ci fosse stata ai tempi di Yeshua, Lazzaro come sarebbe stato messo.

La tassa sulla morte, maronna dell’Incoroneta, a morire serve un nulla-osta
ostia, il morto deve resuscitare e versare 35€ facendo la coda in Posta,
la tassa sulle invenzioni che non si applica all’invenzione di nuovi tributi
e ti accusano di diffamazione se affermi d’esser governato da una massa di cornuti.

La tassa sugli spiriti, in senso alcolico, la tassa sul rumore degli aeroplani,
il rumore degli aeroplani? Pensa alla tassa sul casino di un concerto degli Inti-Illimani,
c’è una tassa sui gradini, l’imposta comunale sui cani, la tassa sulle cabine telefoniche.
Ma andate a cagare, forse si stava meglio con le stravaganze fiscali borboniche.

L’ANTI-«PROMESSA» D’AMARE

Da anti-«poeta», vittima della mia anti-«poesia»
non sarei in grado di dedicarti che un’anti-«promessa» d’amore,
la mia anti-«promessa» d’amore avrebbe i tratti d’una sinestesia,
la durezza staliniana dell’acciaio e la dolcezza del colore,
la finezza dell’amicizia e la consistenza dell’amore,
i tuoi occhi, candidi, mi tramutano in cinico malato d’idrofobia,
e contro la rabbia – monamour - non esiste dottore.

Anti-«promessa» d’amore da leggere davanti all’ufficiale di stato civile,
come riuscire a convincere un mondo tecno-triviale
che ti ho amata dal Giugno del 1976, forse, addirittura, da Aprile,
io ero un embrione e tu, ancora, eri immersa nell’aurora boreale,
saresti stata sei anni un angelo, un fantasma, l’inessenza di un frattale,
senza fare una piega a attenderti, sei anni, trentasei anni, senza niente da dire,
i contemporanei montoni di Panurgo mi condannerebbero al silenzio totale.

Sei la mia anti-«promessa» d’amore e, magari, il concetto ti suona insensibile
ti osservo dormire, serena, come una briciola adagiata in un tostapane,
il mio amore – mi spogli dal ruolo di «guastatore»- è abissale come un sommergibile,
condannato a disseminar siluri sotto (mentita) spoglia di pesci-cane.

LA MALATTIA INVETTIVA

Per scoprire le cause del mio vivere ogni evento come in dissenteria,
hanno versato inchiostro, enorme svista, nella cannula della gastroscopia
i medici anatomopatologi, e mi hanno diagnosticato la malattia invettiva,
associata a reflussi letterari, dilagati dall’esofago, a ossidarmi la gengiva.

Quando, cane cinico al collare, fiuto odor di malcostume o lezzo d’egopatia
non riesco a tollerare l’altro-nel-mondo, vittima d’abuso di xenofobia
dimentico ogni forma di fair-play, calo nella nebbia del Berserker,
incazzato nero come uno Zulu costretto a sopportare un afrikaner,
dico rom al sinti, sinti allo zingaro, zingaro al rumeno, rumeno al rom
non riuscirei nemmeno a trattenermi dall’urlare a Hitler aleikhem Shalom.

Se non vi digerisco sento dentro «uh, uh, uh» come Leonida alle Termopili,
identificando i vermi, che mi stanno intorno, coll’acuirsi del valore dei miei eosinofili
emetto, in eccesso, acido cloridrico e smetto di disinibire la pompa protonica
con la disperazione di un Mazinga mandato in bianco dalla donna bionica,
sputando, con l’accortezza del Naja nigricollis, ettolitri di cianuro
in faccia a chi, dandomi noia, sia condannato a sbatter la testa al muro.

Per comprendere l’ethos del mio vivere in assenza d’atarassia
barbaro che incontra un cittadino nella chora dell’anti-«poesia»,
sarete tutti, nessuno escluso, costretti a inoltrarvi in comitiva
nei meandri labirintitici della mia malattia invettiva.

ANTI-«MANIFESTO» NEON-AVANGUARDISTA
(Ivan Pozzoni)

«Qui giace un autistico»

1] Odin: Ogni battaglia della «neon»-avanguardia è aeriforme [Ogni «neon»-avanguardista, scatenandosi dalla schiavitù della contingenza locale, deve accettare la sfida dei capitalismi nomadi, asfissiandone i mezzi di dominio (mass-media), recidendone la volatilità, illuminandone il lato oscuro; riconsegnato alla tangibilità ontologica della forma e del volume attraverso attentati di «solidificazione», l’anonimato delle «autorità» multinazionali, rifattosi «spazio» assaltabile, torna a essere reale obiettivo bellico dei numerosi movimenti di critica sociale, riconcedendo ad essi, allo stesso tempo, nuovi «spazi» liberi dal dominio e dalla schiavitù della contingenza locale];

2] Dva: Il dialegesthai è fondamento di democrazia [Rafforzando il dialegesthai tra voci differenti, non cadendo nella rete dell’esclusione e dell’emarginazione dell’attività culturale altrui, coltivando l’universalità del diritto / dovere di comunicare, non cedendo all’attrattiva della critica destruens, evitando atteggiamenti aristocratici, si arricchisce l’autonomia individuale];

3] Tri: L’atrofizzazione della dimensione narcisistica dell’artista è urgente [La strada dell’atrofizzazione della dimensione narcisistica dell’artista inizia dallo snodo del riconoscimento dell’urgenza di coordinare iniziative artistiche collettive, solidali, ed anonime, connesse al correttivo dell’epigraficità dell’arte aedica, o trobadorica];

4] Chetyre: L’«opera d’arte» è filiera solidale [L’«opera d’arte» come «filiera» di interazioni feedback tra «agenti» diversi ha urgenza di riscoprire la sua natura contrattuale socialista, contro ogni forma di capitalismo, contro ogni logica di mercato, contro ogni incidenza assistenzialista; artista, mediatori culturali, editore, tipografia, distributori, corrieri, depositi, negozi e destinatari sono immersi in una vicendevole relazione di diritti e doveri];

5] Pyat: L’«autore» è finalmente deceduto [Non essendo «autore» dell’«opera d’arte», l’artista non alienato e non ignorante, deve assumersi il dovere di concorrere ad essa, come tutti i restanti «agenti» della «filiera», in tutti i fattori di «produzione» (creatività, lavoro e finanza). Nel tardomoderno, con l’affermarsi del dato sociologico della collettività dell’«opera d’arte», è alienazione dell’intellettuale inattuale ignorare la nuova categoria socioeconomica del dovere d’autore, smarcandosi, con arroganza parassitaria, dai costi della (anche) sua attività];

6] Shyest: La tristezza metodologica è resistenza contro ogni destino da rifiuto umano [L’uomo di cultura, contaminato dalla natura marginale del disadattamento, deve farsi terrorista contro modelli di reificazione e sfruttamento dell’umanità, reagendo all’ontologia, nichilista ed annichilente, resa attraente dalla moderna maschera del divertimento ad ogni costo, della vita trendy, con un deciso energico richiamo a un’etica della tristezza];

7] Syem: Ogni «forma-poesia» è caduta [Per narrare, con i nostri inutili meta-récits la concreta implosione di «soggetto» e «oggetto» sull’«azione» è divenuto insufficiente il richiamo a una «forma-poesia» fondata, con l’«immagine» tridimensionale o con la «metafora», sul trinomio classico «soggetto nominale» / «verbo» / «complemento oggetto»];

8] Vosyem: L’ironia è medium di rimorfologizzazione costante [L’ironia, come mezzo di ribaltamento, di rimorfologizzazione costante (dall’asino all’uomo e dall’uomo all’asino in asino umanitario), assume ruolo centrale nella dis-educazione del «giovane», sfuriando da una fase destruens in cui svuoti e/o abbatta ogni struttura di senso, e arrivando a costruire sensi sempre nuovi e rivivificanti];

9] Dyevyat: La «militanza» è unica categoria socio/ontologica del fare cultura [Fare cultura è attività «militante», militare. Fare cultura non è un lavoro; essere cultura non è mercato. La cultura non si vende: si mantiene, si cura, si finanzia, si sostiene. Non è un diritto: fare cultura è un dovere civile. La cultura costa: dobbiamo subordinarci, a tutti i costi, ai costi della cultura (esistenziali, temporali e finanziari)];

10] Dyesyat: L’arte è estetica normativa [Arte ed etica, incontrandosi sulla strada della metaetica emotivista, realizzano, insieme all’antiformalismo, una bellicosa estetica normativa individuale. I riot-texts dell’arte sono mera raccolta di testi / documento, verbali d’assemblee d’arte, rivolte alla concretizzazione dell’ideale estetico normativo della democrazia lirica e simbolo di resistenza, o sovversione, contro i valori nomadi delle élites dominanti].

0] Poshel na khui: Il critico letterario becero (auto)-munito della dote mistica di fornire interpretazioni «oggettive» sui nostri testi è mero reperto archeologico del XX secolo.

Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Ha diffuso molti articoli dedicati a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su etica e teoria del diritto del mondo antico; collabora con numerose riviste italiane e internazionali.

Tra 2007 e 2017 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi Introversi, Androgini, Mostri, Galata morente, Carmina non dant damen, Scarti di magazzino, Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni e Cherchez la troika con Limina Mentis, Lame da rasoi, con Joker, Il guastatore, con Cleup, Patroclo non deve morire, con deComporre Edizioni; tra 2009 e 2016 ha curato una trentina di antologie di versi.

Tra 2008 e 2016 ha curato cinquanta volumi collettivi di materia storiografico filosofica e letteraria; tra il 2009 e il 2016 sono usciti i suoi: Il pragmatismo analitico italiano di Mario Calderoni (IF Press), L’ontologia civica di Eraclito d’Efeso (Limina Mentis), Grecità marginale e suggestioni etico/giuridiche: i Presocratici (IF Press), Libertà in frammenti. La svolta di Benedetto Croce in Etica e politica (deComporre) e Il pragmatismo analitico italiano di Giovanni Vailati (Limina Mentis).

È con-direttore, insieme ad Ambra Simeone, de Il Guastatore – Quaderni «neon»-avanguardisti; è direttore de L’Arrivista; è direttore esecutivo della rivista internazionale Información Filosófica; è, o è stato, direttore delle collane Esprit (Limina Mentis), Nidaba (Gilgamesh Edizioni) e Fuzzy (deComporre Edizioni).

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