di Francesca Delvecchio
Favete linguis di Mario Famularo uscirà a giugno per Landolfi Editore.
Di seguito qualche sua poesia in anteprima con un breve commento.
Le poesie di Famularo fanno riflettere sul mondo che ci circonda, con precisione ed efficacia.
Sono versi diretti, che non girano attorno ad un punto senza c’entrarlo in pieno.
Fanno pensare al modo in cui ci relazioniamo con gli altri e con la natura, al nostro comportamento che ci sembra tanto normale, ma non lo è.
osserva la bellezza della contaminazione
lo sguardo ha consistenza
rimodula gli oggetti
per quanto questa terra sopravviva senza
l’uomo
si lascia modellare da quest’indole
infestante
dovremmo ricalcare la pazienza
delle cose
la calma remissiva del pianeta
che si arrende
le arterie quasi occluse da
metastasi d’acciaio
il derma soffocato
il cuore, le risorse
devastate dalla fame
di cosa poi
agiatezza, benessere, piacere
istinto o forse
noia
quest’uomo senza pace
è il cancro della terra
La contemporaneità ci aggroviglia, è uno stato comatoso di parole e frasi buttate lì, senza la certezza che qualcuno le ascolti o le legga.
Si va avanti, si muore un po’ in tutti i momenti:
ogni giorno qualcosa di noi muore
non sei quella di ieri se l’epidermide
rinnova a centinaia le sue cellule
e ancora a centinaia ne ingeriamo
e ne perdiamo
la pelle che accarezzo non è
quella di allora né l’aria che separa
queste labbra dal passato
ogni momento in noi qualcosa è morto
non dirmi la ragione
per cui la dissolvenza
coltiva quest’ansia sotterranea
che stringe solo quando è più evidente
se non abbiamo pianto
questa perdita ogni giorno
non lo faremo oggi
nell’intreccio impersonale
splendore dei frantumi
uniti un’altra volta
nella vertiginosa rotta della
dispersione
il vivere si esalta
nell’abbraccio più
ablativo
In certi punti della raccolta, che lavora sulla parola come simbolo archetipico a cui ritornare dopo tutte le rotture e i rimaneggiamenti del secolo scorso – non a caso il titolo favete linguis, il silenzio da cui partire per ascoltare e riappropriarsi di una dimensione ancora feconda di racconti ed esistenze – c’è la sensazione che il vivere sia fastidioso, come un peso che tira giù, senza accorgersene davvero, una natura morta che pervade i versi.
non importa quest’agitazione questi
desideri, convulsioni che dai nervi si
convogliano in rappresentazioni o
in un’azione, complici il
coraggio, o un ebete ottimismo
fissa attentamente gli astri, ma
ricorda che il novantanove per
cento della materia è inanimata
e in fondo il nostro tendere è
quasi avvicinarsi al florilegio del
non essere
la madre silenziosa che risolve
l’indolenza dopo un’iniezione di
endorfina (che svanisce, come in
fondo ogni altra cosa)
un attimo la mano si distende e
cerca l’altro, forse il suo riflesso
un attimo si avverte impermeabile a
ogni cosa, se non all’attrazione
insuperabile di un mondo che
inorganico invita a ricongiungersi al
principio nonché destinazione per
essere tutt’uno con quella natura
morta
l’impianto dell’esistere è già
così terribile, tra angosce
solitudini distanze ed ossessioni
per essere sereni
scontiamo uno sconforto permanente
e allora
perché rendere ogni cosa più difficile
razziando i nostri simili
cedendo alle lusinghe di vantaggi
predatori
la logica dovrebbe favorire
il formicaio, che invece
tolleriamo con fatica
la cenere sul capo
l’olezzo di impostura
amare la rovina
la resa della logica al veleno
della cura
eppure si era detto di svanire
silenziosi, pacificarsi al cielo
pugnalando le ambizioni
Ma in fondo è sempre al silenzio che si torna, dopo esserne partiti e la poesia è fatta di pause, respiro, voce e parole. Per quanto la vita che viviamo sia piena di rumori che confondono e ci sovrastano, si troverà sempre, alla fine, il momento per la riflessione, i versi, la scrittura e la natura.
quante chiacchiere e alla fine
il vuoto è sempre lì
disteso spazio bianco circoscritto
a ogni dettaglio
un volo di libellula lo graffia
e poi svanisce
il rosa fior di loto brilla un attimo
e dirada
tutto si compone nel tessuto e
incenerisce
gli occhi chiusi e sono
nel frusciare dei canneti
quasi infastidito dal mio
stesso respirare
Mario Famularo (Napoli, 1983) esercita la professione di avvocato a Trieste. Ha realizzato il portale dedicato alla poesia e alla critica letteraria Kerberos Bookstore. Suoi testi sono apparsi su antologie e riviste letterarie, tra cui “Atelier”, “Carteggi Letterari”, “Argo”, “Inverso”, “Menti Sommerse” e tradotti in lingua spagnola dal Centro Cultural Tina Modotti. Collabora al sito Laboratori Poesia con interventi critici sulla poesia contemporanea e una rubrica di analisi dei testi. Ha curato per lo stesso sito una rubrica su prosodia, metrica ed eufonia. La sua prima raccolta, “L’incoscienza del letargo”, è stata pubblicata dalla Oèdipus, mentre la successiva è in corso di pubblicazione per la Giuliano Ladolfi Editore.
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