Elena Verzì, “Nel mio nome c’è la corsa dei cavalli”

La poesia di Elena Verzì ha l’eleganza potente delle terre non emerse del cuore e del linguaggio. Trova - con delicata ma ferma torsione del dire - la testimonianza poetica del vivente. Si espone, confessa, allude con forze che vengono dai pozzi della sincerità e della ricerca di grazia. Per questo parla una lingua che tutti ci riguarda, quando siamo autentici.
La forza di Elena Verzì sta nell'abitare uno spazio ampio, un tempo non gremito, insomma una dimensione dell'umano non assoggettato ai ricatti di uno spazio-tempo aderente al disegno di tante schiavitù realizzato da filosofie parziali, rigide e imminenti. No, il tempo-spazio di Elena è quello che il cuore e la conoscenza e il linguaggio, che è loro figlio, avvertono per provenienza e destino. Da qui un lessico, o meglio una "messa in scena" del quotidiano di amori, dolori, visioni e situazioni che avviene nel segno della grandezza. Non della prosopopea, nemmeno di quella forse ancor più odiosa del minimalismo poetico o della finta dottrina del "piccolo fatto vero" che ha già esaurito le sue brevi splendide fiammate in alcune esperienze prodigiose come Gozzano e non certo nei suoi tardi epigoni di metà ‘900. No, Elena ha la forza del tempo-spazio della poesia, ovvero la statura dell'umano che merita una parola così densa e ventosa, così musaica e terrena. Così incisa nella memoria che è immaginazione. Il maturarsi di questa poetessa avverrà e sta già avvenendo grazie alla perizia con cui sta lavorando sulla creta del lessico, sul ritmo non solo interiore e soprattutto scavando nello spazio-tempo della sua vita, chiamato mistero. E sono certo che ne vedremo esiti forti, oltre a quelli che qui si presentano.

Davide Rondoni

*
Mi hanno detto:
- Non far rumore -
ma fisso chiodi al muro col respiro.
Ho imparato a bussare
e aprire porte con gli sguardi.
Nel mio nome c’è la corsa dei cavalli,
la lingua batte come pioggia sui denti
mentre impetuosa
arrivo
col vento in bocca
e un violino tra le mani.

*
Ho una luna legata al dito,
tramonta nel pugno
quando chiusa, cerca un muro.
Allineata come la piazza
tra municipio e chiesa
eclissa con le corse dei bambini.
Hanno scavato tane coi palloni,
ad ogni calcio fanno l’occhiolino ai lampioni.

Ho una luna legata al dito
per chi muore e per chi nasce
offro un respiro
e un letto
per ricominciare.
Verserò un po’ d’acqua
stasera su quei mattoni
per montare, con funi di edera,
il cielo.

*
Piovono Madonne
sull’asfalto,
ci avvolgono dall’alto
come in un manto.
Siamo impermeabili alla Vita.
Sgraniamo monete dai rosari
e cerchiamo grazia.
Benedici noi
consacrati all’ingiustizia,
le fronti unte
e le Madonne in bocca,
ci battiamo il petto,
ma cadenzati
i nostri passi cantano la morte.

*
Sono nata senza denti
succhio e impasto con la stessa saliva,
faccio a gara con il tempo
per non bruciare il pane
ma sempre duro
lo offro.
Non riesco a spezzarlo.
Freddo è il forno
da quando raccolta
la cenere
occupa la mia metà del letto.
Non so più se sono tra i vivi o tra i morti.

*
In questo turbine che penetra le mie narici
resto in apnea.
Tu,
credi non sappia riconoscere la tua voce
quando mi chiami?
Le tue parole bruciate dal gelo
battono il sentiero.
Quando nel silenzio della notte
esci dall’acqua
hai l’odore della terra bagnata.
Scendo la nebbia,
ricerco il muschio sulla tua schiena
ma sono i tuoi occhi la stella polare.

*
Non hai cognome.
Alle radici rispondi con una lingua di spine
tagli il silenzio con la colonna,
una scala di vertebre conduce ai tuoi occhi.
Li vedo scrutare l’interno del mio vaso
allora mangio la terra per conquistarmi il paradiso
ma tu bevi dal mio pezzo di cielo.
Non mi resta che raccogliere gli ultimi fiori
e aspettare che nuove radici mi crescano dall’ombelico.

*
Ho messo in tasca l’ultimo sorriso
lo rigiro tra le dita e ne faccio una conchiglia.
Conduce ai piedi del monte,
ma sprofondano,
appesantite nella sabbia,
le risposte che semino
ad ogni passo.
Schiacciata ogni richiesta
sparo al cartello del traguardo,
con trepidazione ai confini orizzontali
mi curvo in un punto di domanda
per dominare la gravità con un buco di luce.

*
Dov'è il frutto del polmone
Lì, nella tenda, cercano rifugio,
parassiti mai sazi dell'estate trascorsa.
Quando odoroso evapora tra le latitudini
l'origano sacerdote
celebra unioni di terreni sabbiosi e colline.
Più in fondo della fedeltà penetrano
radici dal fascino aromatico
Fioriscono tentazioni che api
operaie venerano tra germogli
mentre il frutto riposa cadente
come ornamento sui terrazzi.

*
È mentre sfrego spighe di frumento
che scrivo con i calli tra i palmi
il nostro testamento.
Ancestrale il sole incarnato in terra
segna circonferenze imperfette,
schiaccia chicchi di grano sotto le macine.
Nel lento movimento della ruota,
il vociare delle piante
da lontano schiude, ai covoni, segreti da tramandare
come un lamento
il sudore dello spirito moltiplica la gioia.
È la divisione di un pasto sacramentale.

*
Piove da giorni, da mezzogiorno alle tre
i nostri occhi si bagnano come sotto la croce.
Ci offrono da bere seduti in seconda classe
mentre squarciano cieli, i fulmini e gli aerei.
Ho la nausea del viaggio,
Non ho chiesto di partire eppure aspetto di tornare.
A far la veglia sono braccia forti e sguardi vacui
lenti a riesumare tombe.
È la domenica del vicino,
oggi alle tre da lui non piove.

*
Porto a lavare i miei sonni stanchi,
gli umori nei grembiuli
e i silenzi sui fianchi.
Scivolata
dalla tana dei serpenti,
Per ogni sasso
Da un anno all'altro,
Ad ogni passo mi allontano.
Bevono
gli aironi, il lago delle bianche vesti,
E anche dove le pallide more
dai rovi più ombrosi
appaiono celesti,
Vieni
con la morte chiusa tra le ali,
Drappi lucenti sul capo,
Cesta profumata,
della vita l'ora più tarda.

*
Nuotiamo in acque morte
mentre le nostre fetide lingue
annodano lo stomaco con funi di rabbia.
Galleggiamo senza speranze,
stagnanti
ingoiando torbide verità.
Hanno prosciugato ogni pozza.
Terme al cianuro
bagnano i nostri pensieri
ed infangano ogni membra di peccato.
Siamo rinati ciechi
Abbiamo le mani dei Santi
E una palude nel cuore

Elena Verzì nasce a Catanzaro nel 1990. Logopedista, vive e lavora in Calabria. Ha partecipato a vari concorsi di poesia.  Alcuni suoi componimenti sono presenti in antologie delle Edizioni Ursini. Nel 2016 ha pubblicato la raccolta di poesie Fiori e Fango con Eretica Edizioni.

2 pensieri riguardo “Elena Verzì, “Nel mio nome c’è la corsa dei cavalli”

  1. Dopo un lasso di tempo
    di insania morale
    mi ritrovai insano di un altro male
    dolce, acerbo e struggente
    che come un ago
    trafigge il cuor sovente.

  2. Amara solitudine
    tra vette isolate,
    triste maniero
    tra scoscese vallate.
    Eco di oblique parole
    senza felice sentiero,
    tra lettere sorde e mute vocali
    dentro un pozzo nero.

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