di Angelica Grivèl Serra
Nicoletta Bortolotti, E qualcosa rimane, Besa muci 2020
Se lo si dovesse inquadrare nella cornice di un facile binomio, il romanzo di Nicoletta Bortolotti E qualcosa rimane sarebbe da cingere tra le parentesi di un incessante viaggio scrittorio tra passato e presente. Riedite da Besa Muci (prima ed. Sperling e Kupfer, 2012), le pagine dell'autrice si orientano infatti tra quello che appare come un irrecuperabile ieri e la concretezza mutila di un presente rumoroso.
Di fatto, la trama è l'anatomia di una relazione familiare, il cui nucleo è stretto tutto attorno al legame tra due sorelle: Margherita, voce narrante, e Viola, al cui sguardo è totalmente dedicato il pieno fluire dello scrivere di Margherita.
Il passato è percorso con circospezione: Margherita e Viola conoscono gli anni Settanta declinando la vita in vicende ed espressioni che, di fatto, non trovano mai un punto di coincidenza. Nelle scelte, nelle case, negli uomini.
Tu eri la più prossima alle verità famigliari perché ascoltavi le pareti di casa nostra, che a bassa voce narravano segreti […]. Io non sapevo mai niente. Per difendermi mi ero foderata le orecchie di lana e rametti, perché le parole che non volevo sentire ci facessero un nido e si fermassero lì.
Il loro rapporto pare davvero non avere alcuna possibilità di esistenza se non nel dettaglio cesellato delle memorie di Margherita. E ad ogni sbocco di vita diverso, Margherita aggiunge un ennesimo punto di distanza tra lei e la sorella.
Ma è nell'attualità del suo oggi che Viola s'incalza di colpo, con l'urgenza di un segreto da raccontarle dopo anni di silenzio: sarà in una manciata di giornate a Sestri Levante che i cocci delle rispettive divergenze proveranno a ricomporsi.
E la minaccia di quella rivelazione, altro essenziale centro tematico, incombe su tutto il tempo che il libro investe, per poi prorompere in saetta e tuono inattesi tanto per Margherita quanto per chi legge.
Tutt'altro che di mero contorno sono le figure genitoriali, nelle quali si identificano non solo gli amori, ma anche gli antagonismi delle due donne, le cicatrici di traumi irrisolti, le immaginifiche supposizioni dissolte in vapore trascinate sin dall'infanzia.
Mia madre divenne una guerriera notturna e combatteva schiere spettrali partorite dall'insonnia […]. Papà, espulso dalla casa di Lego che, mattoncino dopo mattoncino, aveva costruito, trovò rifugio in un residence.
Dote apicale del volume, oltre l'intarsio di cuore e di tempo che si edifica nella sorellanza raccontata, è proprio il modo adoperato dall'autrice per tracciare il cammino narrativo. La penna di Nicoletta Bortolotti, inconfutabilmente poliedrica, si estende come in un volo ad ampio raggio sulla trama, disegnando a un tempo arabeschi linguistici che solcano l'orizzontalità della storia per immergersi in abissi di profondità a volte spietata, a tratti eterea.
Entrai e mi posizionai davanti a mia madre che, seduta sul water, piangeva. [...] Forse perché il water come la bara snuda, riconduce i corpi alla natura animale, elementare e disarmata, abolisce gerarchie e toglie sostanza all'opacità arrogante dell'Io, la mamma non riuscì a trattenere la verità.
Espressamente rivolto a chiunque ami le storie di ricongiungimenti. Per chi davvero crede nel pregio della parola scelta.
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