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E’ prèim pas di Enzo Travaglini

di Davide Rondoni

 

In una collana del meritorio editore Pontevecchio di Cesena nominata "Alma poesis - poeti della Romagna contemporanea" è comparso "E' prèim pas".
Il libro è il primo in dialetto - e il titolo allude anche a questo - di Enzo Travaglini, riccionese.
Libro che s'apre, quasi a fugare qualsiasi rischio di esagerazione romagnola e "sborona" (vocabolo forse mai usato finora in scritti intorno alla poesia, ma inevitabile se alla Romagna ci si accosta) con una citazione di un gran poeta americano, Charles Wright: "Quello che dura è quello con cui si comincia". E così il verso del poeta americano traduttore di Dante, con cui fu bello passeggiare e chiacchierare un paio di volte, e che sa che inizio e durata coincidono, fuga ogni dubbio: la collana dunque si chiami senza timore Alma Poesis, e annoveri poeti romagnoli d'oggi, perché in romagna oggi si fa grande poesia. E non intendo solo poesia in dialetto.

Ma torniamo al libretto, esile e teso, di Travaglini. Lo accompagna una nota di Gianni Fucci, decano della poesia in lingua romagnola, che rilegge il libro andando dalle considerazioni più superficiali e discutibili, letterarie e sociologiche, del Brevini a quelle più visionarie e fulminanti di Nietzsche. Fucci inoltre elenca i nomi che nell'ultimo mezzo secolo, da Guerra a Baldini fino al migliore, come diceva appunto Lello Baldini, ovvero Nino Pedretti, e poi fino a Baldassarri, Nadiani, Spadoni e Miro Gori  hanno dato lustro alla poesia in romagnolo. Dimentica però l'ottimo Francesco Gabellini, concittadino riccionese di Travaglini e che pur compare in una nota di ringraziamento, nonché la bravissima Annalisa Teodorani, che so stimatissima da Fucci medesimo, e altre esperienze più giovani. Ma non se può fare una colpa a Fucci se i nomi son tanti! Vi sono in tutti questi autori tratti comuni certo, ma rimando per questo discorso ai tanti e preziosi contributi che Lauretano e altri hanno dato.

In Travaglini mi colpisce una combinazione tra infanzia e durezza, tra incanto e lucidità che trova particolare forza espressiva in una lingua che tessuta di rime e risonanze crea, se si può dire, un magone diverso. Il magone, infatti, è quella cosa che sta nell'anima e nella lingua del poeta, che la rende più grave di vita, ma, come si vede qui, non necessariamente più pesante o affaticata. Intendo che nella poesia di Travaglini, ricca di percezioni sorprendenti sottolineate dalla musicalità, si va nel verso della leggerezza, ma non quella stupida di Calvino che i professori han sempre in bocca - non ne conoscono altre -, fuggitiva dalla realtà e creatrice ideologica di mondi paralleli, bensì verso la levità di San Francesco. Una leggerezza che non evade e non diminuisce l'intensità, la lama, la coltellata della vita, ma la coglie con la semplicità della creatura, della infanzia, della mai pretesa, e forse della suprema saggezza.

Credo che la Romagna (e quella zona strana, anche dal punto di vista linguistico, che sta tra marca e quasi romagna che è il riccionese e il riminese) sia la parte bassa del francescanesimo. Lo si vede in grandi artisti come il maestro scultore Fioravanti. E in poeti come Travaglini. Io ho provato a farne vedere qualche traccia in "Rimbambimenti" poesie di tipo romagnolo che Raffaelli ha avuto la gentilezza di pubblicare. Una letizia creaturale ma qui, a differenza che in Umbria e Toscana, più bassa, e si può dir bassa di tono e anche di commistioni con le parti basse della vita, e bassa soprattutto nel senso di popolare, semplice, tutto al contrario e al riparo dell'estetismo. Del resto, se l'autore aveva chiamato il suo libro precedente "Il cielo e il bicchiere" (2010) un  motivo ci sarà. E che una specie di leggerezza, pur nelle caratteristiche di sperdutezza e rimbambimento, abiti queste pagine, lo si vede in testi, a mio avviso tra i migliori, come "Amnesia" o anche "La funtèna". Sono, insieme a non pochi altri, momenti molto belli di questa raccolta che si muove con umiltà e discrezione tra tutte le questioni veramente profonde dell'epoca che viviamo.

Poeta non appartato ma poeta che porta nel cantabile mormorato della sua lingua il mondo attuale. Travaglini non cerca mai l'effetto, né la chiacchiera fulminata in poesia. È più vicino in questo a Baldassarri e a Pedretti che a Baldini o a Fucci. Combina l'effetto povero, quasi francescano, della rima, che risuona lieve come vento, anche quando fa genialmente rimare "témp ch'l'è pas" (tempo che passa) con "voia d'arnàs" (voglia di rinascere). Come se la rima, e la poesia stessa, in fondo, rinviassero al suono di un'acqua "nascosta" (masèda), a una "funtèna ch'la m'aspèta". L'acqua non a caso è l'elemento che primordiale e fatale torna nella prima e ultima poesia del libro, acqua di neve, di mare, di battesimo e di origine. L'Alma poesis romagnola, con i panni semplici di un vivo francescanesimo.

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