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L’eroe Don Chisciotte a passo di danza

di Maria Claudia Berdini

A Parigi, è risaputo quanto l’Opéra Bastille si presti ad accogliere chef d’oeuvres degne di tal nome. E anche questa volta, dopo aver già assistito alla Turandot di Puccini nell’inverno ‘23, la visibilità limitata della piccionaia non mi ha impedito di godere appieno di una seconda, meravigliosa, rappresentazione. Il masterpiece di Cervantes (l'opera Don Quichotte, con musica di Jules Massenet) diventa accessibile ad un pubblico di tutte le etnie ed età grazie al riadattamento a balletto, che lo rende capace di creare una connessione speciale con lo spettatore già dal primo atto.
Subito si è colpiti dalla bizzarria dell’eroe Don Chisciotte, che ci appare comico nella sua idiozia: un falso cavaliere che improvvisamente decide di seguire l’impossibile.
Azzeccata la scenografia e la scelta dei costumi, che catapultano immediatamente lo spettatore nella Spagna seicentesca. La luminosità dei colori scalda come il sole iberico e l’ambientazione popolare accompagna ad un’immedesimazione spontanea e inaspettata. Ne è testimonianza la scena dell’accampamento zingaro, sulla scia della tradizione folkloristica europea, che è stata accolta con particolare divertimento ed eccitazione.
A livello sonoro, lo scrocchìo delle nacchere e il fruscio degli archi rivela il duplice carattere della storia amorosa, scoppiettante nelle sue peripezie e al contempo focosa e sensuale.
Dal punto di vista del balletto, questo particolare spettacolo nasce dal genio coreografico di Petipa per l’occasione dei Balletti Imperiali russi di metà ‘800, riadattato da Rudolf Noureev. Il carattere contemporaneo della coreografia si combina magistralmente con l’impeccabilità dei passi di repertorio, sopravvissuti alle vicissitudini moscovite. Anche in questo caso si rimane con gli occhi incollati al palcoscenico, grazie alla combinazione vincente tra classico e moderno.
Per quanto riguarda l’intreccio, se inizialmente prevale un giustificato interessato alla vicenda amorosa, mi pare che questa storia susciti una curiosità latente ma progressiva nei confronti del buon cavaliere.
Al terzo atto, quando lo sguardo di Don Chisciotte viene calamitato dalle figure fluide e brillanti del corpo di ballo femminile, si comprende come questo spettacolo sia un’ode al bello tanto nella sua espressione fisica quanto nel suo significato morale. L’ingenuità del protagonista, schernita perché ritenuta irragionevole dai più, gli conferisce in realtà una purezza d’animo tale da svelargli la verità dove non si vede. Tutti vorremmo rimanere estasiati dall’incontro con un ideale affannosamente cercato e, infine, trovato. Tutti vorremmo guardare alle cose come le guarda Don Chisciotte: un idiota dostoevskijano che scopre la bellezza e finalmente la contempla disarmato di scudo e lancia.

Foto di hapy2017 da Pixabay

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