Antonio Malagrida, Distanze, Arcipelago Itaca 2024
di Matteo Zega
non sarebbe poi così male essere lì
se solo io non fossi quello che vedi
ma odore di terra nuvola e tempesta
se anche ti ritrovassi crinale, lampo
La distanza come spazio semantico, ermeneutico, ontologico, solco fertile e necessario per l’essere, la vita, la poesia. È la volontà di cogliere appieno il proprio perimetro esistenziale ad animare le liriche di Antonio Malagrida nell’ultima raccolta, Distanze.
Distanza è l’altro da sé, l’alterità necessaria alla relazione, ma anche il cammino tra i grandi tòpoi della poesia, il tempo, l’amore, la memoria, l’assoluto.
Si colgono echi e rimandi alla tradizione italiana del Novecento, i versi sono cristallini, lievi fenditure capaci di schiudere le differenti gradazioni del reale.
Apre la raccolta una teogonia della quotidianità: da atmosfere sospese, insieme pagane e mediterranee, ha principio l’indagine esistenziale che tra divinità e figure orfiche rivela la necessità del dubbio e la ricerca di senso “né voci né odori / non c’è nessuno / dove sono i vivi / e i morti / dove sono / io” (pag. 21) fino a invocare la giunta di un dio a redimere “nascondersi qui, adesso / in nessun luogo / dio ti prego, esisti”. (pag. 23)
Un primo apice poetico si raggiunge dunque con gli interrogativi sulla morte, già cifra stabile ne La sabbia e la neve: mentre nella precedente opera, però, Malagrida sembrava unicamente sperare nel bagliore di meraviglia, nel sussulto dionisiaco, in Distanze compare una diversa ricerca di armonia, secondo la tensione spirituale di chi sa che l’umano potrebbe non bastare.
Due note, titolo della prima sezione, rappresenta lo snodo morale del libro: le divinità concedono raccomandazioni e si congedano con un’amara e laconica rassicurazione “[…] siete liberi dall’ostinata ricerca del bene […] / questo è il paradiso a voi destinato”. (pag. 45)
I Contatti, seconda sezione dell’opera, costituiscono ciò che lega l’essere alla vita e l’apertura verso l’autentico esistere. Tuttavia, “[…] stupito da meraviglie immateriali […]” (pag. 53) il poeta ritrova la dimensione archetipica della nostalgia, per cui ciò che resta dell’amore, delle passioni, delle relazioni, è “[…] un pugno di parole quasi a caso / dentro una poesia […]” (pag.54). Ritorna la vacuità interiore e la conseguente ricerca espressa con parole ancora una volta chiare, lampanti: “mi chiedo se arriverà un segnale / se qualcuno ha chiesto di me /se un sospiro un deltaplano /se almeno qui tra queste foglie /un battito lieve mi somiglia”. (pag. 57)
È originale, in Malagrida, un latente pessimismo della ragione, uno scoramento disilluso per cui l’umanità appare fatta di “[…] pupazzi / da sacrificare per decreto, senza storia” (pag. 62), mentre il poeta osserva “[…] il passaggio maestoso del nulla in ogni cosa”. (pag. 65)
Ai Contatti seguono Trasparenze, terza sezione del libro: l’amore si fa esperienza sensibile, assottiglia la distanza fino a renderla empatia. Emerge una figura salvifica, non già un’angelicata idealizzazione ma una presenza effettiva, stabile e quotidiana. Ritornano le atmosfere biografiche e marinare già cantate con esemplare chiarezza in Fuoristagione.
“incrocio l’acume distratto / dei tuoi occhi tra i fondali / sarebbe uno spreco adesso / persino l’infinito”. (pag. 72)
Nella quarta sezione, gli amici che dopo la morte ricompaiono, ravvivano la poesia dei Ritorni insieme agli anni dei palloni Super Tele calciati nei vicoli in discesa, alla partita del secolo, alle presenze svanite ma non vanificate “[…] darei volentieri una rovinosa caduta dalla bici / dieci punti di sutura / darei volentieri un anno di sconfitte / per vivere di nuovo quei giorni lì / e fare un po' lo scemo insieme a voi”. (pag. 90)
Chiude l’opera la sezione Il drone, dove il poeta lascia i panni dell’Io poetico individuale e introspettivo, per vestire senza ristagni retorici quelli del Noi, civile e collettivo.
Con l’occhio del drone osserva il baratro della realtà, scopre il centro della città in cui vive, la mondanità e la disgrazia della vita in cui i giovani appaiono come tra “[…] rivoli di vomito / una raggera di scarafaggi / in fuga”. (pag. 111)
In definitiva con Distanze, sublime prova di maturità, Antonio Malagrida, tra lirismo e prosa, attraversa le tradizioni del Novecento ed entra definitivamente tra gli autori che si distinguono per pulizia metrica e genialità. Attraverso un equilibrio virtuoso tra apollineo e dionisiaco, l’albatro ha appreso l’arte di un nuovo volo.
*
primula bianca
mimosa alta
trema la viola
trema la luce
la strada brecciata
io stesso laggiù
sono molto lontano
*
corsa frenetica
fiato scolora l’aria
piercing catene
canotte nere
unghie a colori
gambe nude
ragazze bambine
urlano
tra la movida
scalciano
graffiano
strappano dal collo
la bigiotteria
se le danno
di santa ragione
intorno si parlotta
si beve dall’altra parte
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