La disperazione che spera: la poesia di Antonio Alleva

di Lucilio Santoni

“Cronache di fine Occidente. La Collina del Dingh” è il titolo del libro doppio di Antonio Alleva, ora in libreria per i tipi di PuntoaCapo, editore attentissimo alle voci poetiche autentiche. Libro doppio che però va letto tutto insieme come un notiziario ideale, che parte da lontano, tocca gli estremi confini del mondo, per diventare il notiziario della nostra vita. Alleva muove dallo sguardo, certo, ma è l’ascolto, ineccepibile, che gli permette di registrare su carta quei frammenti di realtà che, tessuti con amore, si fanno memoria, si fanno richiesta incessante d’infinito e, pertanto, preghiera: “perfino nell’estasi dopo la congiunzione carnale […] perfino ora il soma / assume la forma della croce”. A fare l’amore si vince in Cielo, a fare sesso si vince sulla Terra, ma questo Occidente non sa fare né l’uno né l’altro e, pertanto, finisce, insieme alle sue magnifiche sorti e progressive. Forse non il sonno della ragione produce mostri, bensì il sogno del progresso.
In una delle poesie più toccanti, “Elementare”, Alleva interroga se stesso in una foto da bambino nella quale a stento si riconosce: “dimmi / ora raccontami tu, / come sarebbe andata se non avessi così clamorosamente / sbagliato sentiero”. Si capisce bene che la domanda è terribilmente vera anche per l’intero nostro mondo che ha smarrito se stesso, a colpi di napalm e a colpi di borsa valori, di fucili e di immagini ridondanti, di parole superflue, di frasi fatte, di luoghi comuni. Le stesse persone che il venerdì s’indignano per l’inquinamento del Pianeta, quelle stesse persone, che in un altro Venerdì di duemila e rotti anni fa i potenti di turno persuasero che quel figlio di dio era un percolo pubblico, allora dov’erano? E oggi a cosa credono?
Domande come voragini e siamo fortunati se abbiamo un amico con cui parlarne e fare lunghe chiacchierate, che si chiami Sabatino o sconosciuto, per gridare la disperazione e la paura, col cuore e col cervello che tra poco mi si spaccano, chiamare mamma, papà, la mia sposa e un salvamento; ci dovrà pur essere un salvamento, non so dove ma lo spero. E mi vergogno un po’ di aver rifiutato le radici, per tanto tempo, e represso la nostalgia. Ma tu, babbo, perdonami, anzi so già che mi hai perdonato, come mi ha perdonato la mamma; mamma, se questo silenzio non fosse così avvolgente, tornerei persino da te. Mamma, babbo, dove siete? E perché dopo avermi riportato qui / mi avete abbandonato? Ritornano la Croce, le lacrime e la bellezza che ne scaturisce, unica possibilità di salvamento. Perché è vero che l’Occidente finisce, ma forse non smette mai di finire.

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