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Damiana De Gennaro, “Shibuya Crossing”

di Alessandra Corbetta

Dopo l'esordio avvenuto con Aspettare la rugiada (Raffaelli Editore, 2017), Damiana De Gennaro conferma con Shibuya Crossing (Interno Poesia, 2019) la sua attitudine a scrivere versi senza adattarsi a mode momentanee o pseudo-correnti poetiche, seguite e alimentate da tanti altri giovani della sua stessa età; De Gennaro, infatti, non teme di procedere per la sua strada, fatta di passione e studio per la lingua e la cultura giapponese, ma soprattutto di cura e ricerca armonica nella composizione dei versi: i componimenti che costituiscono Shibuya Crossing mostrano una capacità espositiva sintetica ed equilibrata, in cui il lavoro di labor limae, insieme a una scelta accuratissima delle parole, confluiscono in una strutturazione compiuta e incisiva allo stesso tempo. De Gennaro, con chiuse spesso pungenti e innescanti profonde riflessioni, contestualmente radica e sradica nel tempo presente la direzione dell'incedere delle sue poesie: il lettore si trova a essere del tutto trapiantato nel mondo attuale, di cui riconosce il linguaggio e i luoghi ma, allo stesso modo, è spostato in un piano altro, in cui i personaggi, paragonabili a persone potenzialmente esistenti, fluttuano con i loro tratti balzani e afferrabili solo dall'occhio attento della poesia, dando vita a microstorie con le caratteristiche della biografia stilizzata e prevalentemente femminile.

Persistono, poiché già ricorrenti in Aspettare la rugiada, riferimenti al mondo naturale che, per De Gennaro, non hanno mai una valenza decorativa né esclusivamente simbolica, ma a cui è affidato in primis il ruolo di completamento visivo e tangibile di uno stato dell'essere che, in essi, trova la propria concretizzazione, stabilendo un perimetro di confine a partire dal quale scaturisce la ricerca di senso; i colori insistenti, i suoni, le forme che poi attraversano Shibuya Crossing, evidentemente permeati di influenze nipponiche, creano un contrasto con il dire di De Gennaro, dal momento che la fluidità e la leggerezza evocate dagli stessi si oppongono a un versificare deciso, sicuro, che non arriva a una soluzione finale pur avanzando sempre delle ipotesi su come potrebbe essere.

Dove inizia e dove finisce la nostra identità e quella degli altri? È questo l’interrogativo che anima le pagine della raccolta, posto da De Gennaro con garbo e grazia e tendente a una risposta di tipo onirico, di cui la lievità giapponese non è altro che la miglior opzione rinvenuta, tra quelle date dal reale, in cui incarnare il pieno necessario per contrastare un vuoto atavico di tipo esistenziale.

De Gennaro, delicata ma temeraria nel farsi portavoce di questo messaggio, non sfugge al confronto e restringe, con una zoomata continua rispetto alla spaziosa visione di campo, la prospettiva, il punto di osservazione e ciò che deve essere osservato, con un atto di coraggio ma anche di consapevolezza della propria inclinazione e del proprio potenziale che, in Shibuya Crossing, diventa un colpo vitale e risolto.

L’insegna scolorita fujifilm
dall’interno della vetrina
affacciata sull’incrocio anonimo
sembra confidarti:

qui il moderno
è invecchiato troppo presto –
aveva un sogno grigio-rosa
troppo forte per esplodere

come una sola bubblegum.

Le ragazze bubblegum riposano
tra gli scarti dell’infanzia –

le riconosci dall’assenza di realtà,
i costumi smisurati,

i nastri sempre uguali delle frasi
stretti intorno alle caviglie.

La signora che sorride fra i cactus
entrando nella classe
non ha detto il proprio nome –

si diverte, mentre parla
di cose inessenziali, non sospetta
lo scompiglio che sprigiona
nel desiderio di sparire.

La ragazza color miele
da piccola diceva di volere
diventare una sirena –

ma la pioggia non si pesca
e il tuffo è più rischioso
nel pensiero che nel mare –

adesso è allagata
ha capelli ondulati bellissimi,
gli occhi premuti sul fondale.

Non tutte le parole
sono piovute dai palazzi –
nel recinto di una frase
puoi nascondere ogni cosa:

gli andirivieni senza oggetto,
la trance nei caffè delle stazioni –

l’inspiegata fedeltà
del cane-pietra nel vegliare
su tutti gli abbandoni.

La ragazza stella
in equilibrio sulla sedia
ha sorriso nella luce
appena prima di cadere.

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