Dalle parole alla danza

di Marika Campeti

È accaduto, sono rimasta senza parole. Per questo ho iniziato a danzare.

La danza e la scrittura per me sono due forme di espressione artistica profondamente legate. Molte persone, quando mi conoscono la prima volta, restano perplesse e, guardandomi con curiosità, mi chiedono: «Ma cosa c’entra? Come puoi essere una danzatrice e anche una scrittrice, delle due, in realtà, cosa sei veramente?»

Sono entrambe, queste due me si tengono per mano, sono legate in maniera indissolubile, perché sono nate l’una dall’altra, come una madre e una figlia che si rigenerano nel loro stesso amore.

Avevo poco più di vent’anni, quando è accaduto.

All’improvviso, ero felice.

Da bambina e anche da adolescente, sono stata sempre un’anima in tormento: vivevo tutto con profondità, la mia sensibilità mi portava a piangere spesso, a sentirmi diversa dai miei coetanei, avevo l’esigenza di colmare quel vuoto che mi avanzava nell’anima, un vuoto che riempivo e coloravo di parole scritte. Scrivevo brevi poesie alle elementari, ne conservo ancora il quaderno, una grafia ordinata e arrotondata, che col tempo si è trasformata, come è accaduto a me. Scrivevo per tirare fuori quello che avevo dentro, scrivevo per rabbia, per dolore, per sviscerare tutto ciò che non riuscivo a contenere.

E poi, la mia anima si è placata, i germogli nascosti sotto le foglie secche hanno iniziato a sbocciare e mi sono resa conto che non avevo più parole da scrivere, la mia benzina, il fuoco che animava le mie parole, si era spento. Mi è dispiaciuto un po’, ma ho pensato che essere felice era più importante che essere una scrittrice. Allora ho iniziato a celebrarmi, a tirare fuori tutta l’energia che avevo tenuta aggrappata alle viscere, facendola fluire, attraverso il mio corpo. Non a caso, la danza che insegno da 15 anni è conosciuta come “Danza del ventre”. Era lì, nel centro del mio essere donna, che dovevo rinascere, seguivo con i miei piedi i passi che la Donna antica aveva percorso prima di me, mi muovevo alzando le braccia al cielo, con i piedi nudi ben ancorati alle mie radici e il mio corpo era un’urna di energia fluente.

La danza mi ha insegnato ad amarmi, a riconoscere la sacralità del mio corpo, la venerabilità dell’essere nata donna, ha smussato con dolcezza tutti i miei angoli, facendomi sentire parte dell’universo. La danza mi ha fatto viaggiare, in posti in cui mi sono sentita veramente a casa.

Mentre danzo non esiste né tempo né spazio, né esistono confini del corpo, i veli diventano il proseguimento delle mie braccia, i piedi affondano nella sabbia del deserto diventando granelli leggeri, i miei capelli si donano al vento. Sono grata alla danza, per avermi insegnato ogni segreto del mio corpo, per aver plasmato quei muscoli emotivi che non credevo di avere, per avermi donato dei momenti di pura estasi al suono della musica araba che tanto amo.

Così, come una donna nuova, sono giunta alla mia sfida più grande. Quella della vita. Se non avessi compiuto questa evoluzione, per me il parto sarebbe stato un freddo passaggio in una stanza di ospedale. Non è stato così e sono grata alla vita per avermi fatta rinascere come madre, non solo di mio figlio, ma anche di me stessa. Ho vissuto il dolore più intenso, un dolore costruttivo, che ha generato la vita, ho compreso in quelle ore che ero tutt’uno con la natura, con la lupa che correva nel cercare la tana per dare alla luce i suoi cuccioli, con l’orsa che sanguinava nel sottobosco.

Proprio lì, mentre gridavo il mio dolore e la gioia di dare alla luce un figlio, sono nate nuove parole. Ho avuto un parto fisico ma anche spirituale ed emotivo, insieme a mio figlio è rinato il mio estro creativo, con una veste nuova, matura, consapevole. So di essere una donna fortunata, perché a quarant’anni ho compreso tutto di me, conosco i miei desideri, le mie capacità e i miei limiti, ma soprattutto, so che ciò che scrivo oggi, non è frutto del dolore, non è una fiamma che si esaurirà al primo sorriso.

Non mi sono opposta al mio cambiamento, l’ho abbracciato e oggi sono una scrittrice che, attraverso la danza, ha trovato il fluire libero delle parole.

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