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“Dal Lazzaretto” di Luigi Cannillo: il vivere e lo sparire

di Antonio Alleva

Luigi Cannillo, Dal Lazzaretto, La Vita Felice, 2024

Figure in posa sulla spianata
mentre del vecchio Lazzaretto resta
ormai solo il colonnato nord
Anni dopo qualche carro sparso
clienti nelle bottiglierie, sempre
visibili nel silenzio delle foto
dove le ombre si fissano perenni
Non c'ero allora, non vedevo
le piaghe, poi le nuove case
a battezzare il Novecento
me stesso a una finestra
ancora sigillato in quel presente
Ma il tempo sul campo di battaglia
contrappone spietato le sue ore
futuro incluso, e si doveva scendere
affrontare la strada disarmati
Noi siamo i salvati adesso, i nostri
occhi a fotografare le impronte:
lo stemma borromeo, il bar
degli eritrei - a futura memoria

La poesia è proprio una corroborante, lenente magia. Metterei persino il punto esclamativo, come vorrebbe fare il mio puer, ma – almeno per ora – lo trattengo. Non solo la poesia si dirà, ogni forma d’arte è stupore e magia. Al riguardo mi sovviene all’istante quell’opera di Tinguely, intitolata – appunto – UNA MAGIA PIÙ FORTE DELLA MORTE.

Certo, l’arte tutta. Però solo la poesia vi riesce con la sola parola, e perdipiù all’insegna della brevità: quando la poesia è tale, e alta, riesce nel giro di pochi versi a narrare mondi, storie, la Storia, l’infinitamente piccolo d’una vicenda umana che scava e scova e illumina i fili vibranti tesi tra sé e l’infinitamente grande del fluire del tempo, e riacutizza l’indagine sull’ignoto nesso che collega da sempre l’esistere e lo sparire.

Dal Lazzaretto di Luigi Cannillo (La Vita Felice, 2024) ne è un plastico esempio. Immagino Luigi in pantaloni corti, in un punto preciso del secondo Novecento (da poco era finita la 2a Guerra Mondiale), lo vedo gironzolare correre giocare nel suo quartiere in quella vecchia Milano di ghiaia viali e forse ancora di macerie, il quartiere del Lazzaretto, reso memorabile da Manzoni nei Promessi Sposi (capitolo 28): luogo infestato dalla peste del 1630, epoca della narrazione manzoniana, un vero e proprio girone dantesco di dolore e sofferenza, uno dei tanti nel corso dei millenni in cui gli umani hanno urlato e riurlato (e ancora urlano): perché?
Renzo vi si reca in cerca di Lucia e ne rimane sconvolto, Manzoni stesso ci indica i due soli modi per reggere un tale, spaventoso urto interiore: lasciarsi indurire il cuore, o elevare il proprio limite di pietà fino al sovraumano.
Tuttavia, ecco l’indomita fiammella che accompagna il procedere della vita, il suo incredibile, pazzesco istinto di sopravvivenza: nella scena c’è una donna “fotografata” da Manzoni mentre allatta un bambino non suo, in quel pandemonio di malattia e di lamenti, il suo bimbo è già morto, e lei allattandone un altro cerca il suo nel ricordo volgendo lo sguardo lontano. Sbarrare il passo alla morte, assicurare che la vita corra in soccorso di altra vita, eccola l’energia primigenia altrettanto potente della morte.
Ma poi perché, buon dio o chi per te, perché infierire persino nel romanzo con quelle nubi grige, basse, che incombevano sul Lazzaretto mentre la peste incombeva sugli uomini? … Ah, è lui: l’eterno, diabolico infierire.
Perdonate la digressione personale.
Ecco, mi piace pensare che Luigi, esaurita la stagione del gioco e della spensieratezza, dei banchi di scuola di allora, delle corse tra le cassette della frutta al mercato, preso atto che l’ustione della poesia (peste benigna e lucente, seppur altrettanto dolente) gli aveva già timbrato il destino… mi piace pensare che sia stato Luigi (almeno in questo suo ultimo, potente libro di sguardi che non lasciano scampo) a prendere il posto di quella donna per continuare ad allattare quel bambino, ancora ora, ancora qui: innanzitutto il bambino vivo e vegeto della letteratura che tesse e tende il suo filo d’oro, magico, tra il 1630 – Manzoni – Luigi – il 3° millennio, poi il bambino del vivere dispiegato a distesa, indi il bambino che sempre nutre di sé lo sguardo del poeta, anche quando la realtà del mondo affatica sia l’uomo che il poeta. Ma anche il bambino che crescendo regge saldo il corrimano dello scrivere, e non si fa travolgere dallo spietato bisturi dell’adulta memoria, assoluta protagonista di questo libro.
L’autore usa il bulino, invece, per rifinire la parola profonda in grado di trasformare la memoria – seppur nitidamente amara – in autentica poesia. Al bulino importa poco dell’umana biografia di chi scrive. C’è una differenza da canyon tra la donna nutrice e il poeta-testimone: lei guarda lontano nel palpitante ricordo del figlio morto, ossia conchiusa nel sentimento umano della perdita, il poeta lo fa per continuare a scrutare il Sé e il Noi nel vicino e nel lontano del mondo, onorando come in questo caso il lascito della grande letteratura che ci ha preceduti. La magia accade quando la scrittura riesce a far brillare i fili d’oro e di sangue tesi e vibranti tra l’adesso e l’allora, tra la fragilità umana che tale resta nel fluire del tempo, e il poeta-testimone con la sua parola profonda che non s’arrende.

[…] Mi ha salvato il cerchio dell’inchiostro

                                   la cura quotidiana dei quaderni …

Dice mirabilmente Cannillo.

Luigi sceglie il Lazzaretto come altana per il suo sguardo, sceglie il suo quartiere di vita che è anche potente simbolo della nostra fragilità di fondo, e ci sottopone l’attuale consuntivo di quello sguardo, senza zuccherini.

Le strade del mercato
si liberavano in serata
i banchi nei magazzini per la notte
i motocarri fermi, a fari spenti
Il giorno dopo riprendeva il ciclo
con la frutta allineata per colore
lo splendore dei pesci sul ghiaccio
mentre come stelle filanti
si sollevano nel vento
le fettucce della merciaia

Era la fatica a scandire il ritmo
della catena implacabile dei giorni
Adesso invece anche ad aspettarli
non rientreranno in scena, nemmeno
la neve da spalare, i thermos di caffè
né il volo delle briscole sul tavolo
Il pallone è rimasto in un angolo
anche i figli chiamati nei cortili
non sono più tornati per la cena

Al poeta milanese è toccato l’onere e l’onore di dispiegare dal Lazzaretto la voce sulla sua vicenda di duelli e sposalizi tra la memoria e l’ora e qui, tra il vivere e lo scriverne, adesso quella vicenda è a piene mani anche nostra. E gliene siamo grati. (Che vette tocca Cannillo nelle poesie in cui parla alla madre, pagg. 57,60,61!)

Il bambino spensierato, colmo della luce del futuro, ha obbedito al destino che lo chiamava poeta: ha raccolto il prezioso testimone e da quel quartiere reso celebre dal Lazzaretto (edificio ormai sparito dal 1890), a quasi quattro secoli dalla storia di Renzo che vi cercava Lucia nel perenne, disperante lamento della vicenda umana, ci consegna con questo libro una lectio magistralis sull’inossidabilità dell’ignoto nesso tra il vivere e lo sparire. E sul lancinante languore di chi ha vissuto frugando in quel nesso, a petto in fuori e con la penna in mano.

Vi invito accoratamente a non perdere l’occasione, a leggere il corroborante e lenente Dal Lazzaretto di Luigi Cannillo.

Dorme il Lazzaretto
trasportato da un treno
che lo fa scivolare nel tempo
Le valigie aperte, le smorfie
di chi lotta con il brutto sogno
Hanno spento le luci in corridoio
e il gomitolo di ombre
si gira lento su se stesso
Sospesi i ricordi in un convoglio
quello che conta adesso
è il panorama che ci sta aspettando
ancora sfumato al finestrino
Dormendo scorrono le stazioni
in passaggi come lampi
mentre l’arco profondo della notte
porta a destinazione ignota
Dormono insieme nel suo labirinto
le vite perdute e le attuali
condividono racconto e itinerario
il movimento che ci sveglia e ci assopisce

Luigi Cannillo, poeta, saggista, traduttore e organizzatore culturale, è nato e vive a Milano. Tra le sue raccolte di poesia più recenti: Cielo Privato, Joker Ed. 2005, Galleria del Vento, La Vita Felice 2014, e l’antologia in inglese e italiano Between windows and Skies – Selected Poems 1985-2020, Gradiva Publications 2022 e Dal Lazzaretto, La Vita Felice 2024. Ha curato con Gabriela Fantato La biblioteca delle voci – Interviste a 25 poeti italiani, Joker Ed. 2006. Ha curato inoltre l'Antologia Il corpo segreto – Corpo ed Eros nella poesia maschile, LietoColle 2008, e  – con Sebastiano Aglieco e Nino Iacovella – Passione Poesia. Letture di poesia contemporanea, Ed. Cfr 2016. Singole poesie, scelte antologiche e interventi critici sono stati pubblicati su numerose riviste, raccolte di saggi, siti e blog letterari. Ha partecipato a performance e spettacoli teatrali e collabora con musicisti e artisti visivi.

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