La biografia romanzata di Ted Hughes e Sylvia Plath
di Gaia Boni
“Per la maggior parte delle persone esistiamo solo in un libro, la mia sposa e io. Negli ultimi trentacinque anni ho dovuto assistere con impotente ribrezzo a come le nostre vite reali sono state sommerse da un’onda fangosa di racconti apocrifi, false testimonianze, pettegolezzi, invenzioni, leggende; a come le nostre reali, complesse personalità sono state sostituite da stereotipi, ridotte a immagini banali tagliate su misura per un pubblico di lettori affamati di sensazionalismo.
E così lei era la fragile santa e io il brutale traditore.
Ho taciuto.
Fino ad ora.”
Dopo anni di attente ricerche, la scrittrice Connie Palmen pubblica con Iperborea Tu l’hai detto, un libro-romanzo vincitore del Premio Libris nel 2016, il più prestigioso premio letterario olandese – che dà voce all’eterno accusato Ted Hughes, marito della ben nota poetessa Sylvia Plath.
Tu l’hai detto non è una lettura facile né facilmente digeribile, e non per il lessico articolato o lo stile noioso, – anzi! – bensì per la tematica e il modo in cui viene narrato il rapporto tra i due poeti. Una relazione tormentata, terribile e magnifica insieme, dove Ted Hughes, attraverso la propria persona, racconta di come si sia innamorato perdutamente della bella americana, bionda, sfrontata ed estremamente fragile.
Il poeta, grande conoscitore dell’oroscopo e dell’occulto aveva per mesi e mesi ignorato i presagi di un disastroso finale della sua relazione con Sylvia, troppo accecato dall’amore per lei.
Pagina dopo pagina il lettore si immerge nel rapporto sempre più intimo che si va a creare tra i due, ne prova le sensazioni, le passioni, le angosce costanti, le lacrime di lei, le ansie di lui, continua a sperare sino all’ultimo in un finale differente da quello che conosce.
Hughes parla spesso di lei come la propria musa, la moglie, la donna dall’enorme potenza seducente e distruttiva che l’ha legato alla Plath, anche dopo la morte di lei.
“Tutto ciò che scrivevo era una lotta contro l’impossibilità di scrivere, tentativi di conservare qualcosa di me stesso, o forse di ritrovarlo. Le prima volte che la sentii singhiozzare nella stanza accanto andai a consolarla o a calmarla, ma succedeva così spesso che smisi di farlo, ricorsi perfino ai tappi per le orecchie, e solo la notte, a letto mi avvinghiavo a lei, ci amavamo con malinconia e per un fugace momento ingannavamo la morte con la nostra passione.”
Nonostante tutto, lui torna sempre da lei e lei da lui, fino alla mattina del suicidio; la Plath era ossessionata dalla gloria letteraria per il marito e per sé, viveva i suoi anni costantemente in lotta contro la figura della madre, di cui sente la mancanza esasperante quando con Hughes, vivono in Inghilterra, e ne vuole fuggire subito quando si trasferiscono in America. Seguono diverse crisi depressive, sempre più frequenti, sino a quando Ted non incontra la sua apparente via d’uscita, Assia Wevill che lo lascerà però nel modo più atroce, sei anni dopo, suicidandosi come la prima moglie (Sylvia), ma coinvolgendo anche la bambina di quattro anni.
Connie Palmen costruisce una straziante biografia in cui entrambi i protagonisti vengono disegnati in tutti i loro lati positivi ma anche e sopratutto in quelli più negativi: lei isterica, gelosa, eternamente depressa, lui vanesio, egoista e fedifrago; finalmente però in questa pubblicazione si vede anche la visione di lui, non più solo assassino, colpevole del suicidio di lei; la Palmen ha voluto offrire al lettore un diverso punto di vista e ci riesce, a mio avviso, totalmente.
Non si può scindere, nemmeno alla fine del libro, queste due anime eternamente legate nella colpa, nel dolore, nell’amore.
“Uno di noi era spacciato fin dall’inizio. Era o lei o io. Nella furia divoratrice chiamata amore, avevo trovato la mia pari.”
Può interessarti anche:
Un’ode del ventunesimo secolo a Chicago e alla sua scena di musica sperimentale