di Davide Rondoni
Claudio Damiani, Prima di nascere, Fazi 2022
Una voce pacata e ossessiva abita le ultime poesie di Claudio Damiani. Un'inchiesta che pare continuamente contraddirsi e, scendendo nella spirale delle contraddizioni, trova forse l'unico modo a lei possibile per affrontare il tema, pervasivo e modulato quasi a mo' di partitura musaica:
il tempo e - nel tempo e dove altro - la morte. Un libro anche dai tratti civili, ma che non porta, al contrario di tanta poesia civile da poco, un tributo al dio rassicurante e falso della Storia.
Il poeta della misura, del nitore, del debito oraziano e cinese, il poeta delle ariose e commoventi poesie sul fico, sull'infanzia, sull'Elba, sul Soratte, sui ragazzini a scuola, sugli "eroi" del feriale, ecco, questo poeta ha per così dire raccolto, quasi "costretto" tutte queste cose e voci e figure, le ha convocate, quasi citate in giudizio dinanzi al tribunale del tempo e della morte. E soprattutto ha citato in giudizio se stesso, la sua personale vicenda o guerra. Nudamente, spudoratamente. Con la sincerità di sempre, ma ancor più resa estrema, cordiale ma anche puntuta, dal confronto con il tema dei temi, la morte, appunto, e la sua ombra, ovvero la speranza - e viceversa.
Il mistero è così fitto
e noi così fragili
che non ci sono speranze
o meglio, possono esserci solo speranze,
la speranza è la nostra scienza.
Con poesie colloquiali e però ossessive fino alla ferocia, o brevi prose o solo con un verso fulminante, in cui il cortocircuito tra lessico e dettato mai inclini a effetti superficiali e l'apertura di voragini, Damiani compone la sua raccolta più "disarmata", a tratti si direbbe pure slabbrata. Sotto la tessitura abilissima, sotto la simplicitas di un dettato che sceglie sempre la via dello stile piano, preme stavolta il magone, direbbe un lombardo, soffiano i cetacei di un respiro che a tratti si spezza o meglio sprofonda.
Ci sono - lungo una raccolta ben strutturata in capitoli - testi mantra, temi ripetuti, scene memoriali che si precisano di volta in volta, domande che hanno risposte di segno opposto, incanti e depressioni. Il "cerchio" dell'opera è tenuta dalla metafora della guerra. O meglio dalla individuazione della guerra come doppio: maledizione di una società ma condizione perpetua esistenziale della umanità. Damiani sa svisare i temi quasi come le variazioni di una musica orientale, sa deviare e tornare al punto, mancare il punto aprendo altre vie, altre inquietudini.
La sincerità - quel che al poeta è sempre apparsa come la stella fissa del suo dire - qui vibra, a tratti insopportabile a se stessa.
Le consolazioni della filosofia orientale (mescolate a tracce di una pietas cristiana dove compare pure una Provvidenza, senza però Cristo, e dunque senza incarnazione né resurrezione) vacillano e riappaiono e vacillano nuovamente. Questa poesia non riposa in chiarezze anteriori, in meditazioni pacificanti. Cerca semmai nella "natura... non una formula ma una frase/ ...che ci dica chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo".
Il fanciullino, che ha passato le soglie posteriori della maturità, ora è esposto - si confonde, si ripete, si contraddice. Fa quello che non aveva mai fatto così: trema.
E se da un lato sa di non sapere, e con una certa leggera malinconia dice: "mi sento come una tabula rasa/ e la vita sta finendo", dall'altro dice: "ma m'inchino davanti al mistero/ e oppongo davanti a lui / la mia vita nuda..." con il vezzo di quel parlato "ma mi" che indica una sprezzatura - au contraire - da parte di chi trema sì ma cerca di farlo con leggerezza.
Ed è questo tremore infantile e ancestrale, che si propaga per ripetizioni e accensioni, per stilemi e deviazioni, a costituire il nucleo, ingestibile, finalmente, della raccolta. Trema come un vecchio, trema come un bambino. Perché ok la leggerezza, che in letteratura ci rompe le scatole compreso nelle lezioni calvinesche come se fosse lo scopo della letteratura medesima, parificando così l'arte a un lieve trollamento su Instagram, ma qui non si tratta di quella razza di leggerezza. Ma di quella che trattiene il tremore, lo conserva, e se ne fa crepare le ali di tulle o di vetro o di qualsiasi materia siano, fossero anche della materia di una esperta, colta e controllata poesia. Non interessa a Damiani la leggerezza di una letteratura che presume di creare "altri mondi" - non interessa questo e il suo mistero. Così che il volo della voce di Damiani non si dissolve in nuvole, ma è la spada della loro bellezza nei nostri cuori mortali. Il libro, dal titolo che apre alle diverse vie tracciate al suo interno, invita il lettore a considerare il proprio io, protagonista assoluto della modernità, in una prospettiva diversa. Quel "prima di nascere" rilancia una domanda sull'essere e sul nulla (prima e dopo - e quindi durante il tempo vissuto) che, per quanto la si voglia censurare, traversa e taglia in due i cuori di sempre. O almeno quelli inquieti e non soddisfatti dal feroce regno dell'apparenza della modernità e della sua postuma glossolalia.