di Irene Ester Leo
Lothar Schreyer udì un passo leggero sopra la sua testa. Qualcuno al piano di sopra si muoveva avanti e indietro nello studio. Un passo rapido e morbido, come quello di un grosso gatto domestico. Ma era quello di Paul Klee che misurava passo dopo passo lo spazio concesso alla sua creazione, e il suo incedere era un movimento voluto, un’intercessione. Una testimonianza di Klee al Bauhaus nel suo laboratorio magico. Lontana dagli aggettivi di poetessa maledetta (oltre che barocca) spesso affibbiati alla sua natura, leggendo un passo dal libro di Klee e della sua Confessione Creatrice, ho visto, come appena celata da una tenda smossa, una giovane donna. Dalla bellezza visionaria di chi lo "sa" tutto il mondo e sa anche che contenerlo è spesso operazione non facile, mentre continua a muoversi avanti e indietro con passo lieve e veloce come Klee. È un’immagine che apre ad una figura bellissima. Una donna con una vitalità straordinaria enfatizzante. Parlo e scrivo di una poetessa che sento molto vicina per geografie ma ancor di più per spirito di abbandono a quel flusso che è la Poesia. Dallo sguardo brillante e nero, il profilo aristocratico, il cuore forte e l’anima vibrante. Nessuna vittima consenziente di questo o altri mondi, ma un essere umano che consegna il suo dono alla Poesia. Nasce a Napoli nel 1967 ma leccese d’adozione fino al 1996, quando decide di involarsi altrove, nell’ultimo suo volo non pindarico ma reale, nel vuoto. L’inizio e la fine. Ma nell’intercorrere di questo tempo c’è uno straordinario impeto che merita una considerazione, è il mondo ad essere malato e a non combaciare con lo sguardo alla poesia, il mondo è distratto e spesso vuoto. Privo di corrispondenze che addita con principio di colpevolezza la bellezza austera e fuori schema, e quindi “maledetta”. Ma non v’è maledizione in chi ama esageratamente. La Ruggeri, Claudia, aveva tra le mani la poesia in forma di materia plasmabile che prendendo fisionomie astruse e neologismi forti brilla di nuovo vigore. Chissà cosa avrà pensato nettamente Dario Bellezza di fronte all’esordio pubblico di questa ragazza vestita di nero con cappello rosso che alla festa dell’Unità del 1985 aprì le sue pagine e lesse i suoi versi. Ne rimase incantato vivamente e la loro consuetudine restò tale fino al 31 marzo 1996, quando il poeta ci lasciò. Anticipando di sette mesi, e con altre motivazioni, Claudia. Lecce era in pieno fermento letterario e culturale, parliamo degli anni ‘80 e ‘90 nei quali SalentoPoesia seppe incrociare i passi creativi, per tornare all’immagine di apertura della mia riflessione, di molte personalità letterarie e poetiche del tempo, in maniera sbalorditiva. Ma intanto la poetessa inviò a Fortini le sue scritture in uno slancio di ammirazione, che ne rimase in parte “travolto” trovando innanzi a sé uno stile decisamente agli antipodi del suo, una poesia ricca, fastosa, eppur piena di una sensibilità fatta di studio, ricerca semantica e sintattica fuori dall’ordinario. Un’assonanza definita “Barocca” quindi. Con tutta l’accezione che il termine comporta, ma alla quale sentirei di poter dare poco peso. Il Barocco delle nostre terre del Sud non è un limite ma solo il ricco preludio che precede il cielo. Lo regge, quando si sollevano finalmente gli occhi e si impara a modellare lo sguardo sulla traccia dell’infinito. Allora la finitezza e la gabbia degli aggettivi si perde e siamo pieni di una dolcezza che trabocca. È un gioco di pieni e di vuoti come certe architetture in Santa Croce a Lecce ad esempio: il miracolo è dato dalla luce, quella reale e quella che possiamo davvero cogliere grazie alla volontà sottile ed umana. La Poesia della Ruggeri colma una mancanza, la accarezza, le dà sollievo, come fosse una bestia addormentata e placata finalmente dall’inferno. Un Inferno Minore. Poemetto edito che scioglie, con un forte richiamo dantesco l’inferno vicino che bussa dalla porta accanto. Ho incontrato Claudia molto spesso. Qui nelle parole intendo. Più che di persona grazie ad una rara registrazione. Ho potuto ascoltare la sua voce e il suo modus in fatto di lettura, le sue pause, il fiato incalzante e spezzatempo. La poesia detta ovvero l’oralità cara all’antichità. E ho trovato, per una mia considerazione che sicuramente non resterà, mi auguro, isolata, che la sua poetica aumenti di efficacia e si trasformi, e si cali in cromie fortissime e complete quando incontra la voce nella lettura. Per un gioco di suoni certamente, studiatissimi e ricercati ma anche di ritmi. Incredibile la rivelazione della normalità: il canone più antico del mondo è il più moderno e rompe la carta e si fa vivo, semplicemente parla. Non di facile lettura però, che merita un’attenzione preliminare non al singolo verso ma ad un contesto maggiore, quasi totale. Una comprensione che sfida la parola, smontata e ridipinta, scolpita e lasciata trasudare nella sua fierezza. Ma me ne guarderei dall’usare termini come sacerdotessa e simili. Perché non renderebbero merito a chi ha incendiato al massimo la creatività del fare poesia. E non si può quindi additare l’infinito come fosse l’indefinito, e creare una nota scordata in un bellissimo preludio di Bach, che tanto Claudia Amava. L’Utopia è il pane quotidiano che sfida il reale. Quanto siamo capaci di aprire lo sguardo e di rialzare il tiro?
"Due mondi - e io vengo dall'altro" - scrive Cristina Campo. In quest’ottica la morte, l’amore, la vita, il dolore, la gioia ogni schema si ribalta pienamente e allora Claudia Ruggeri non ha posto fine alla sua vita, ma ha soltanto compiuto un passo tornando al suo mondo reale, abbandonando “questo” che rimane a noi in prestito, intatto ma ora più vuoto. Claudia Ruggeri esprime ciò che non può esser espresso sfiorando i movimenti che sono della musica, quando arriva dritta ai nostri sentimenti attraverso meccanismi indecifrabili. C’è un bellissimo passaggio, in uno scambio privato di Giacomo Leopardi che scrivendo al suo interlocutore chiede anche idealmente al suo lettore di non limitarsi a considerare la sua problematica umana, i suoi malanni per farne un metro da interporre tra lui stesso e la poetica. Ma di considerare e dibattere solo le sue scelte stilistiche. Tornando a Claudia quindi, evitando di cadere nella tentazione della maledizione e della condizione della sofferenza umana che esilia e porta alla morte, evitando di vedere tutto attraverso questa lente viziata, ecco che la poesia nella sua essenza più temibile e libera si palesa nei suoi contrasti espressionisti ma sinceri. Molto è stato scritto e poi pubblicato postumo, ma non abbastanza né letto con la giusta chiave, che ancora ognuno di noi cerca probabilmente per svincolare una serratura dalla dimenticanza.
“Ora Bisogna stabilire se la vita, quindi lo strumento creativo, è attesa dell’artista.” Scrive Claudia in un suo quaderno intitolato “Elogio alla follia”. E poi continua qualche riga oltre “Il mio fine non è quello di partecipare al lettore la genesi passionale dei miei versi, quanto l’indurlo ad ascoltare un istante di sé. (…) Non è da cercare di comprendere il senso che io ho descritto con la parola, quanto il risalire ad un senso personale ed appassionato graziato dal solo ritmo. Un ritmo ricercabile in uno spartito, in una tela e in una lastra impressionata a seconda che io con il suono sia riuscita a riecheggiare una melodia o ad accostare colori o a richiamare un’immagine, secondo la disposizione e i compromessi ideologici del lettore. La Poesia è compiacenza o stimolo”.
Indizi preziosi sul lato misterico e poetico del fare poesia che ogni poeta poi serba solamente in sé. Ma molto è affidato al lettore. Un passaggio di consegna. La poetessa “cede” tutto ciò che possiede al lettore e poi va e lo sfida e sembra quasi dire: prova ad afferrare tutto, prova a sentire tutto, prova ad amare tutto. L’amore viscerale e sviscerato quello che c’è ed esiste e che Claudia riversa a piene mani nella nostra voce. E lo fa lasciando quaderni, pagine, appunti manoscritti, una sorta di archeologia della scrittura da ricercare e ricostruire, con la difficoltà della cronologia che corrisponde ad un furore appassionato bilanciato da una grande intelligenza creativa. Così moderna e così differente, essenziale e viva, in quel suo volo perenne che nemmeno la morte ha potuto fermare.
Il volo degli spiriti liberi.
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