Ciberneti. Intervista a Francesco Terzago

a cura di Andrea Carloni

Francesco Terzago, Ciberneti, Pordenonelegge/Samuele Editore, collana “Gialla”, 19 settembre 2022

Argomento cruciale e incisivo in Ciberneti non soltanto il processo dell’interferenza tecnologica nel contesto naturale, ma soprattutto il passaggio inverso: la natura che consequenzialmente si intromette a sua volta nelle strutture tecnologiche. Qual è la tua visione e cosa puoi tentare di prevedere al riguardo?

«Volevo che i viventi costellassero quello che sarebbe sembrato uno spazio spoglio e asettico. L’idea di indeteriorabilità in architettura e nel paesaggio cerca di avvicinare lo spazio delle idee, di sovrapporlo, a quello che attraversiamo con i nostri corpi e sensi – è una menzogna, come qualsiasi figura che celebra geometrie assolute e superfici pure, un immaginario che questo libro vuole rigettare. Piante e animali non sono considerati quando si edifica un capannone, un nuovo stabilimento – si riassume la loro presenza a un prima: cioè l’incolto o l’area boschiva da spianare, da mondare, e a un dopo – fuori-fuoco perché si trova all’esterno del perimetro dei processi economici rappresentati dall’attività produttiva, ovvero il processo di recupero del tessuto ecosistemico, la dimostrazione di quanto sia effimero il dominio antropocentrico. Nel nostro caso il terzo paesaggio e poi nuove foreste. Nel libro cerco di rammentare la sovrapposizione dei processi, ovvero che qualcosa avviene in compresenza benché, fino a quando ciò non si intromette nelle ritualità machinali, non assume alcun valore agli occhi degli addetti. Mi spiego meglio – un macchinario il cui azionamento prevede l’utilizzo di acqua nebulizzata potrà, nel tempo, essere colonizzato da cianobatteri e muschi – le sue calotte metalliche ricoperte di pulviscolo minerale saranno il luogo nel quale alcuni vegetali si insedieranno, il suo basamento di cemento si ricoprirà in alcuni punti di felci per la presenza di luci elettriche (lampenflora) o di piante troglofile. Nei canali di scolo si potranno incontrare insetti. Se una radice dovesse strozzare uno dei cavi segnale comportando l’arresto della fresa succitata, del motore elettrico, solo allora la sua presenza sarà considerata rilevante. Questa rilevanza, invece, io la attribuisco al fatto che nelle “città-stabilimento” gli elementi fuori-controllo sono la maggioranza e sono un’interferenza. Sono un’apostasia nei confronti di una omologazione produttivista, il governo dell’uomo sulla natura è solo apparente e coincide con un esercizio, questo sì sistematico, di colonizzazione e dominio degli immaginari».

 

Su ogni piano disporremo

le cremagliere – l’una sull’altra con quattro metri
a separarle. infine i robot faranno avanti
e indietro su di esse. Mentre gli uccelli
insediati e le volpi volanti, a poca distanza,
copriranno con i loro versi il fischio delle fresatrici
assicurate al polso degli stessi robot.

È evidente quanto il tuo libro riveli un’attenta ricerca sul linguaggio che prevede la selezione di gergo tecnico, lessico specifico, testi estesi e descrittivi. Come nascono e si sviluppano le tue scelte espressive e quale impatto pensi possa avere sul lettore non necessariamente competente nella materia trattata?

«La lingua del lavoro è ostile; inoltre riguarda comunità molto circoscritte e che producono delle microlingue (microlingue che si innestano su altro; forme di omologazione linguistica in cui emergono lacerti dialettali, lingua letteraria, lessico giuridico, substandard).
Con questo libro volevo che il lettore sperimentasse la sensazione che si prova quando si è apprendisti e si subisce l’influenza di una realtà con regole all’apparenza adamantine. E che, proprio per questo, ci danno una sensazione di sicurezza; una dimensione operativa che ci dà la parvenza che tutto risponda a una pianificazione, e che noi viviamo nel sogno incarnato di qualche progettista, nello spazio del dominio della mente sulla materia; (ciò che si subisce è un esercizio persuasivo che è facilitato da concetti che ci accompagnano dall’età scolare: “buona scuola”, “alternanza scuola-lavoro”, “meritocrazia” per fare alcuni esempi).
Ciò che ci convince è il rapporto che si instaura tra noi e gli impianti, la ripetizione dei gesti in relazione alle macchine, la proporzione delle macchine (vergogna prometeica), poi le schermate dove sono proiettate interfacce e numeri, il ritmo - quindi i suoni che attraversano il nostro corpo - degli apparati idraulici, il sibilare dei motori.
Quando si è apprendisti abbiamo qualcuno che ci guida, in questi luoghi. Sono gli addetti che hanno maggiore esperienza. Il significato di molte espressioni e il valore che queste possono avere in relazione agli altri però lo scopriamo sperimentando [rileggendo e colmando in modo autonomo in nostri vuoti di conoscenza, nel caso di Ciberneti]; non ci sono manuali né insegnanti - l’acquisizione è passiva.
Apprendista, oltre a essere una forma contrattuale, è la condizione di chi non è ancora in grado di leggere il mondo della fabbrica come può fare chi ne abbia appunto interiorizzato i riti, quelli che sono repertoriati tra le pagine della raccolta.
Questa lingua (così come il modo in cui utilizziamo il nostro corpo in simili processi) ridefinisce i confini del nostro immaginario, mette in ombra alcune geografie e ne fa emergere delle altre; definisce le nostre priorità e segna urgenze, esercita un potere capace di consegnarci a una sottile forma di afasia, quella che riguarda il rapporto che possiamo avere, accidentalmente, con l’inatteso (per esempio la via di fuga costituita dagli altri viventi - piante, animali, etc. - che, anche in un capannone, possono raggiungerci).
I nostri interlocutori, gli altri operatori, valutano come reagiamo a specifici input linguistici, come ci relazioniamo alla liturgia del lavoro. Se operiamo certe scelte lessicali, se ci esprimiamo aderendo a certe forme di pensiero, guadagneremo uno status: essere considerati membri del loro gruppo sociale e questo ci darà un senso di protezione, quello di una ruota dentata di un macchinario o il PLC di un quadro elettrico (hardware/corpo)».

improvvise perdite di pressione, di portata
sono controbilanciate dal software di gestione.
Il braccio antropomorfo riduce la velocità
di avanzamento dunque l’abrasione
del tagliente sulla pietra. i giri
dell’elettromandrino restano invariati
così da impedire il distacco delle placche
sinterizzate dalla punta e l’affaticamento
di ogni parte meccanica e l’irrimediabile
compromissione.

 

Il carattere evidentemente descrittivo e analitico dei tuoi testi non si divincola mai del tutto dalle forme poetiche; basti pensare al ricorrente utilizzo degli enjambements e delle deissi spaziali e temporali, con cui il tuo libro si apre. In che modalità ti rapporti con le tradizioni e i canoni poetici e retorici?

«Una conoscenza della storia della letteratura, soprattutto dell’ultimo secolo, e che si rivolga alle produzioni più appartate è imprescindibile per chi voglia collocarsi in uno specifico campo - allo stesso tempo ciò non deve stabilire i limiti entro i quali operare, non deve diventare il nostro orizzonte del possibile. Questo libro, come ogni libro, è un fatto collettivo, ed esiste perché nasce da un confronto. Grazie a questo confronto ho avuto modo di tornare su alcuni autori. Andrea Inglese mi ha suggerito di tornare a Volponi e così ho fatto (un autore che, negli anni ‘70, metteva in versi la robotica); Bordini è un altro. Ogni scritto nasce da una ricerca e, aspetto non trascurabile, da un rapporto diretto, “immersivo” con ciò che desideriamo raccontare. Nel caso di Ciberneti la ricerca ha riguardato la letteratura, la poesia italiana, che ha affrontato il tema del lavoro (come non citare Franzin e, su un altro versante, Prunetti); e in modo particolare, del rapporto tra operatore e automazione e le forme di pensiero, la filosofia; citando rapsodicamente: da Anders ad Agamben, passando per Fisher e Benjamin; e Lakoff, e Rossi-Landi, e Caronia, e Wiener etc.
Ho studiato a Padova, in una facoltà in cui si potevano seguire le lezioni di Mengaldo o Ramat e, proprio in quell’ambiente, ho sviluppato una sensibilità che guarda al fatto poetico con lo sguardo di chi desideri comprendere che cosa può far ricadere sotto una simile etichetta fenomeni mediali eterogenei che, in apparenza, si trovano a grande distanza (Giovannetti); in mio soccorso sono giunte ulteriori conoscenze, primariamente la linguistica, l’estetica, la filosofia del linguaggio, lo studio del paesaggio. Non credo che si possa ritenere la poesia espressione esclusiva di ritmo, di metrica perché questo spingerebbe fuori dal perimetro della nostra indagine produzioni significative o le subordinerebbe a principi puristici, produrrebbe gerarchie che non mi appartengono. Detto ciò, nei miei testi c’è un diffuso utilizzo di espedienti retorici che mutuo dalla mia conoscenza della linguistica testuale, della narratologia. Sì, un testo deve “suonare bene” (si tratti di poesia, narrativa, o discorso politico) e per fare ciò, ogni autore, acquista una competenza passiva degli usi performativi della lingua, è responsabile di produrre un idioletto, e di prendersene cura - come se si trattasse di un paesaggio; quindi climax, deissi, anafore, rime interne, troncamenti e molte altre cose che dovrebbero essere presenti nella nostra cassetta degli attrezzi (a seconda dell’attività che dobbiamo svolgere sceglieremo lo strumento idoneo). All’interno di Ciberneti c’è un esercizio intenso sull’utilizzo del punto di vista, sulla mescidanza delle voci; di graduale deterioramento dell’io narrante e una sostituzione a simboleggiare un riflesso collettivo, la permeabilità tra corpi, macchine e introiettamento della volontà padronale, di persuasione a mezzo di ripetizioni (semantiche e ritmiche) - questo può echeggiare la linea di produzione».

il mese scorso siamo stati in un altro paese
e il prossimo ci torneremo per installare
un ulteriore impianto; poi diventeranno
tre, quattro, solo nell’arco di un trimestre.

I temi affrontati – l’automazione, i processi industriali, il tecnocapitalismo – potrebbero confluire in conclusioni di denuncia distopica; eppure la tua trattazione si distacca da considerazioni retoriche o enfatiche. Può la poesia assicurare che lo sguardo critico sull’evoluzione del reale non perda l’attenzione anche alla sua complessità, alle sue possibilità?

«Parlando per me: la poesia è chiamata a dialogare con altri campi e selezionare quali elementi possano emergere dall’oceano dei saperi e in ciò distanziarsi dal discorso politico che si concede facili appelli alle emozioni, dalla sua immediatezza. Elementi che siano capaci - come le isole di un arcipelago - di esprimere geologie nascoste e diventare i punti di una mappa disponibili a molteplici configurazioni. Per ciò che mi interessa la poesia è uno spazio espressivo che dà valore alle interstizialità, ai vuoti, al montaggio di sequenze e che, ricorrendo a immagini e situazioni, suggerisce la complessità. E l’articolazione, in questo caso, di fenomeni economici e sociali in una prospettiva che è, senz’altro, militante distanziandosi, come già accennato, da pericolose gerarchie - tuttavia, più che un esercizio di denuncia (non è un lavoro di inchiesta) mi interessava ribadire che, persino negli scenari da me descritti, è possibile rintracciare delle dissonanze (lo spazio dei viventi, la filosofia del corpo).
Credo nella capacità di discernimento del lettore e, conoscendo come si costruisce un discorso politico [atto persuasivo] ho pensato a questo libro come a un repertorio di situazioni e atmosfere lontano da esplicite esortazioni. Chi attraversa questi luoghi può, da sé, individuare le possibili vie di fuga (sandbox) e maturare sì uno spirito oppositivo nei confronti di certi esiti tecnologici ma partendo dal presupposto che siamo tutti cyborg e che i nostri processi cognitivi si espandono grazie a dispositivi e programmi; Ciberneti è un ambiente popolato, come lo è quello che ci circonda ogni giorno, di segni che possiamo decifrare individualmente, costellato di piante e animali che dimostrano quanto sia possibile riconoscere, nelle “distese impiegatizie” una infinità di figure che sfuggono al riduzionismo tecnico e al produttivismo, in altre parole a una visione progettuale che non può tenere conto di una simile ricchezza di variabili: la natura trova sempre la sua strada. Nell’introduzione a La mano sinistra del buio di Ursula K. Le Guin l’autrice, riferendosi alla fiction dice: “chi scrive [...] almeno nei momenti di più grande coraggio, desidera davvero la verità: conoscerla, dirla, servirla. Ma lo fa in modo indiretto e insolito, ovvero inventando personaggi, luoghi che non sono mai esistiti [...] per poi, una volta finito di scrivere questo mucchio di bugie dire: ecco! Ecco la verità! [...] Tutta la fiction [e la poesia] è metafora. La fantascienza è metafora. Ciò che la distingue [...] sembra essere il suo uso di metafore nuove, derivate da alcune grandi dominanti della vita attuale - la scienza, tutte le scienze, e la tecnologia, e la prospettiva relativistica e quella storica, fra queste”».

ti trasferisci in loro. Le cellule si combinano
al reticolo cristallino dei minerali, della perlite,
vedi gli spigoli perdere gradualmente ogni gibbosità.
Le filettature ripristinarsi, elica innocente
di una chiocciola. ogni asperità superficiale è
un ematoma che si riassorbe.
Un giorno le macchine potranno guarire e
ci insegneranno a guarire.

La continua ottimizzazione dei processi automatizzati contro ogni interruzione del ciclo produttivo e del funzionamento delle macchine, può allarmarci da un lato, ma dall’altro ricordarci che anche i nostri stessi corpi sono animati da migliaia di processi biologici costantemente attivi. Occorre occuparci dunque anche delle somiglianze fra umano e macchinario, oltre che delle differenze?

«Sì, questo è uno degli inviti presenti in Ciberneti. Non solo, considerarci come parte di una “fabbrica universale” in cui si applicano i principi della termodinamica: la materia si trasferisce e conosce nuove forme. Ciò su cui dobbiamo interrogarci è la presunta nitidezza dei confini tra noi, gli altri viventi, e i dispositivi. Come la compresenza ci influenzi e faccia altrettanto con l’ambiente. In tutto questo considerando che i processi economici che ci avvincono, parafrasando Fisher: a una persona che non ha altra prospettiva cognitiva se non quella del lavoro non è concessa, dal capitale, alcuna misericordia ed è, così, trasformata in macchina; la si costringe a imitare i suoi strumenti. In questo sta la vergogna prometeica (Anders); e l’inganno cultuale che, quando ci troviamo al cospetto di un robot si testimonia una deità; tuttavia - come indico in alcuni testi del libro - il nostro è più che altro un problema di prospettiva: la fabbrica incarna il lavoro dei progettisti e per edificarla servono persone, per programmare i robot, per istruirli, ulteriori specialisti, servono persone. Serve dedicarsi a una genealogia tecnologica. Concentrarci su un singolo elemento può essere fuorviante, come se nell’analisi di un ecosistema dedicassimo le nostre forze a descrivere la forma di una singola pianta - per esempio un’orchidea o una orobanche: le sue foglie, i suoi frutti, i suoi fiori senza considerare quali sono i rapporti che essa ha con il resto della vegetazione, con micorrize, con insetti e ruminanti. Le orchidee non possono svilupparsi se non entrano in simbiosi con alcuni funghi capaci di fornire alla pianta carbonio organico; le orobanche non possono sopravvivere se non parassitando l’apparato radicale di una leguminosa».

Il numero degli addetti dovrà crescere
per dare assistenza continua ai nostri clienti
distribuiti in oltre ottanta paesi, con linee
di produzione che non devono mai arrestarsi.
dovremo essere a disposizione
in ogni momento. Con la luce, con il buio.
Fine-settimana inclusi.

Francesco Terzago (1986) ha studiato linguaggi e tecniche di scrittura all’Università di Padova e, alla Scuola Holden (Torino), storytelling politico. Ha vissuto in Cina dove ha indagato il diffondersi della Street Art nei chéngzhōngcūn (villaggi urbani) e vive alla Spezia, città sul mare. Ha pubblicato il volume di poesia Caratteri (Vydia Editore, 2019, Premio Elena Violani Landi – opera prima 2019) e il saggio La parola ovunque, poesia di strada e sovversione dello spazio urbano (AgenziaX 2021, Francesco Terzago e MisterCaos). Suoi testi tratti compaiono in Oltrelontano, Poesia come paesaggio, progetto di Laura Pugno per Rai Radio 3 (2021), ma anche in Nuovi Argomenti (Mondadori) e ItalianPoetry Review (Columbia University/Società Editrice Fiorentina). oltre a diverse antologie come: Ultima *Definizione del sempre (Ultima), Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90 Vol. 2 (interno Poesia), Generazione entrante (Ladolfi Editore) e Poeti della lontananza (Marco Saya Edizioni). Fa parte del collettivo Mitilanti della Spezia, è membro di inopinatum (Comitato di Ricerca dell’Università Suor orsola Benincasa di Napoli) e dell’istituto Permanente di Poesia Contemporanea di Salerno, ed è uno degli studiosi ed esperti coinvolti nel programma di indagine del MiBACt sulla creatività urbana, documento nel quale è chiamato a delineare caratteristiche e genealogia della “poesia urbana”.

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