Nota di lettura di Melania Panico
Francesco Iannone, Arruina, Il Saggiatore 2019
Arruina si apre con una profezia. E la profezia è parola che si fa carne e sangue. “Nascerà una bambina, e avrà il tuo sangue, e il tuo sangue ti giudicherà. (…) ogni cento anni nasce una bambina così. E ogni cento anni la vita delle Nerissime è in pericolo".
La Sperduta – questo è il nome della bambina che i due genitori dovranno ritrovare – conserva in sé un destino crudele: la sua nascita mette in pericolo la vita eterna delle Nerissime. Eppure il destino sta nel suo nome. Il rapimento della bambina innesca la narrazione e la ricerca e solo così potrà esserci il racconto. Anche i genitori della bambina hanno un destino: l'iniziale silenzio/mancanza dà luogo a un itinerario di ricerca lungo il quale i protagonisti incontreranno alcuni personaggi “oscuri" quanto la favola oscura che pure è il sottotitolo del racconto. Quindi Arruina è un romanzo che della nascita ha tutto: acqua, corpi che si disgregano, viscere rovinose e arruina delle cose. Acqua dei corpi che danno la vita e acqua che rende eterni. Della morte ha tutto: ossa scomposte, silenzio, voce che manca nel silenzio della mancanza, mancanza che si fa vita nuovamente e nuovamente. Un romanzo della maternità (uno dei personaggi più particolari si chiama la Grande Madre), in cui sicuramente spiccano per completezza e valore alcune figure femminili, non sempre positive come ovvio che sia per una favola “oscura".
Arruina è un libro di destino e di luce, soprattutto di luce che passa dalle fessure, dalle crepe, come se la terra fosse una immensa ferita che noi uomini dobbiamo interpretare. Eccola la lingua di Arruina: la lingua delle crepe che continuamente mette il lettore di fronte a una mancanza di respiro. In tutta la parte prima del libro, quella relativa alla profezia e al racconto sulla Sperduta, la lingua utilizzata da Iannone si presenta come chiara e in un certo senso lineare per poi intricarsi man mano che si va avanti nella lettura. Sembrerebbe, questo libro, un forziere o un segreto dispositivo da innescare. Il lettore ha la possibilità di entrare in questo meccanismo. Sembrerebbe una lingua artificiosa eppure è l'unica lingua possibile in quanto si ha davvero l’impressione che l’autore sia stato guidato nella scrittura da una specie di “spirito della lingua” ovvero che Arruina sia nato già pensato così perché poteva essere solo così.
L'itinerario ha come punto d'arrivo Roccagloriosa (il nome del paesino è reale e realistico, è tutto il contesto di luoghi e avvenimenti – c’è anche un chiaro riferimento alla disastrosa frana di Sarno del 1998), e anche in questo caso il nome ha in sé un destino. La rocca non è accessibile a tutti ma soprattutto può entrarvici solo chi porta con sé il proprio miracolo: “Avete un miracolo da mostrare? Perché solo così entrerete a Roccagloriosa e qualcuno avrà pietà per voi, vi allatterà e avrà pietà per voi". Roccagloriosa pare tanto lontana e inaccessibile e arroccata e “rovinosa” (l'arruina?) quanto metaforicamente luogo del “bene" e del ritrovarsi: “Ma il mondo non è tutto e a Roccagloriosa il silenzio non esiste. Esistono gli uomini ed esistono le colpe”. Il bene va riconquistato. La favola si chiude così.