di Luca Nicoletti
Arnaldo Colasanti, Braci. La poesia italiana contemporanea, Bompiani, 2021
Nell'ambito della poesia, i primi due decenni degli anni duemila hanno registrato vitalità, fermento, discussione, con una possibilità di scambio e di conoscenza amplificata – nel bene e nel male – dai siti online dedicati e dai social network. Personalità consolidate ed emergenti hanno mostrato nuovo desiderio per la scrittura in versi, talvolta buona ispirazione, cercando, allo stesso tempo, sia una ridefinizione di stile e linee tematiche, sia di mantenere o conquistare uno spazio che, non di rado, è di sopravvivenza. Il tutto in un acquario in verità talmente ristretto da generare, a volte, reazioni da pesci combattenti, i "rumble fish" richiamati dal film di Coppola degli anni ‘80. Nella speranza di trovare un giorno non dico il mare, ma almeno uno specchio d'acqua capace di accogliere e concedere lo spazio vitale necessario a tanti poeti, è certo importante di tanto in tanto provare a fare il punto della situazione, per un aggiornamento delle coordinate.
In questo senso, l'antologia Braci, curata da Arnaldo Colasanti, di recente pubblicata da Bompiani, credo rappresenti un passaggio imprescindibile, un testo critico che non può non essere affrontato e attraversato da chi intenda ragionare di poesia nel 2021. Naturalmente, come ogni antologia, anche quest'opera si presta a delle valutazioni, a una messa a fuoco di eventuali punti di forza o di debolezza. Un'opera di critica può e deve a sua volta essere oggetto di riflessione, di confronto, anche se questo significa generare contrapposizioni e divisioni, come avvenne nel caso di La poesia italiana dal 1960 a oggi di Daniele Piccini, pubblicata nel 2005, all'epoca finita al centro di grandi discussioni e polemiche, ma di valore indiscutibile e riconosciuto.
Faccio seguire qualche considerazione alla luce di quanto premesso, con l'auspicio che ogni piccolo contributo possa rivelarsi in qualche modo utile. Ho preso a titolo di esempio, tra le tante, le letture critiche relative ad alcuni poeti la cui opera, tra i contemporanei compresi nell'antologia, conosco meglio, avendone anche scritto qualche approfondimento. E perché mi pare che tali interventi possano essere letti nella loro esemplarità, al fine di una migliore comprensione dell'impianto complessivo dell'antologia.
Su queste come su ogni scheda critica contenuta in Braci occorrerà comunque ritornarci, data la densità di riflessioni e concetti, nonché l'alta concentrazione speculativa di molti passaggi. Colasanti va sempre in profondità, ci va da par suo e a modo suo. Parlando per esempio della poesia di Tiziano Broggiato, riesce a scostare quel velo di mistero, intessuto di non detto, che rappresenta forse la cifra principale del poeta vicentino e del suo senso tragico, affiancando una divagazione colta e ispirata all'analisi, ampliando l'indagine con riflessioni oltre la superficie delle parole e del senso, per trovare ogni possibile implicazione, anche quelle più irraggiungibili. Qui, come del resto nel caso di più o meno tutti gli autori compresi nell'antologia, il respiro della poesia trascina la creatività del critico, Colasanti esce dal merito del puro approfondimento testuale, si concede libere associazioni, ispirato dalle suggestioni dei testi presi in esame, nell'intento di arrivare a comprensioni ulteriori. La sua riflessione, pur complessa, risulta sempre piacevolissima e avvolgente, spesso illuminante: non ti stanca mai.
A questo proposito, splendide, e da ricordare tra altre altrettanto splendide, le esegesi critiche dedicate alla poetica di Umberto Piersanti, a quelle di Davide Rondoni e di Giancarlo Pontiggia, quest'ultima peraltro ampiamente e liberamente affrontata in un'opera precedente di Colasanti, Notte purpurea. Credo che la lettura in parallelo proprio di queste ultime due possa risultare interessante, in quanto le modalità introverso-estroverso con cui Colasanti imposta gli approfondimenti, sembrano non solo non essere in opposizione, ma piuttosto palesare la coerenza con l'intento dichiarato dal critico nella sua introduzione: "Il mio metodo di lettura è semplicemente ermeneutico". Quindi non la mera interpretazione dei testi, ma dell'intero universo umano, il mondo di un poeta - per quanto sia possibile immaginarlo, comprenderlo e brevemente rappresentarlo - dal quale è scaturita e scaturisce la sua poesia. Il suo mondo prima della poesia, o nel mentre della sua poesia. Una sorta di immedesimazione, volendo esagerare di transfert, o contro-transfert, di momentaneo azzeramento della distanza tra critico e poeta, tra investigatore e anima.
Così, Colasanti introduce Rondoni descrivendo la sua immersione nella vita, per mettere a fuoco "il rischio di una ricerca perpetuata nelle parole precarie del mondo", ma anche come il poeta pop sia in fondo una versione contemporanea del poeta civile, per la capacità di mettersi in gioco nel vivo e nelle contraddizioni della società di massa, nell'era della comunicazione globale: per "cercare e ritrovare quello che siamo in ciò che viviamo". Anche in Pontiggia "la parola non segna alcun distacco dalla realtà", ma implica la "giovinezza delle cose", perché la sua intonazione è un fatto sorgivo, non la forma ma "la nascita della forma". Colasanti entra nell'universo del poeta, come lui muovendosi in una fluttuazione atemporale, nella narrazione delle sensazioni che, miracolosamente, non sono andate perdute ma che si sono offerte come un paesaggio di qualcosa che abbiamo, forse, vissuto.
Un'altra considerazione sull'impostazione e sulla filosofia dell'antologia, a partire dal titolo, Braci. Viene da pensare che qui si nasconda la chiave di quest'opera critica, allo stesso tempo suo punto di forza e di debolezza. Braci è anche il nome della prima rivista concepita e fondata da Colasanti in giovinezza, insieme a un gruppo di amici, intellettuali e poeti, tra i quali Claudio Damiani e Beppe Salvia, stampata la prima volta in ciclostile nel garage di casa: "il luogo mitico in cui abbiamo imparato a leggere e a scrivere". Ora, confesso la mia personale simpatia per il richiamo e per la dedica all'affetto degli amici con cui ha condiviso "l'inizio dell'avventura". Non solo, mi ritrovo pienamente in questa fedeltà al tempo e apprezzo in ciò il desiderio di un'età dell'innocenza in quanto senso di libertà e dell'origine, distanza dai meccanismi e dalle dinamiche – inevitabili? – delle posizioni di potere, con tutto ciò che ne consegue. L'altro lato della medaglia è però rappresentato dal rischio di definire una cornice dell'opera ristretta, maggiormente legata ad una rappresentanza territoriale, mentre il livello dell'opera invoca una dimensione adeguata per collocarsi come riferimento a livello come minimo nazionale nell'ambito della critica di poesia.
Ultima notazione. Ritengo giusto il richiamo a non ricadere nel gioco degli inclusi e degli esclusi: ogni antologia è scelta, e ogni scelta è opinabile quanto legittima. Avrei però fatto un'eccezione al "protocollo anagrafico" quasi sempre rispettato nell'antologia, inserendo due poeti come Maurizio Cucchi e Giuseppe Conte, nati negli anni ‘40: dopo l'orizzonte aperto – e tutt'ora non superato – dai maestri del secondo Novecento, quindi senz'altro Sereni, Luzi, Caproni e Bertolucci, e insieme a personalità poetiche come Anedda, Benedetti e De Angelis, compresi nell'antologia, è indubbio che abbiano lasciato un segno non trascurabile. Inoltre, 63 poeti antologizzati sono davvero tanti, forse troppi, anche considerando l'intento di realizzare un'“istantanea”, una “mappa” della poesia italiana di oggi. Il cerchio della selezione probabilmente poteva restringersi a 50 nomi.
Queste le mie riflessioni, scritte a caldo dopo una prima lettura dell'antologia. Altre letture ne seguiranno, e continueranno nel tempo con quest'opera, per proseguire nel cammino della poesia con migliore orientamento, con quella ulteriore consapevolezza che ci è data nel confronto con il pensiero critico.
Bellissimo, interessante e molto profondo. Però, a volte, difficile da capire. Però molto bello.