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Appunti su “Cielo notturno con fori d’uscita” di Ocean Voung

di Melania Panico

 

Ocean Voung, Cielo notturno con fori d’uscita, La nave di Teseo, 2017

 

Leggo Ocean Vuong per la prima volta in uno dei miei viaggi in treno e nelle orecchie ho i Mumford&Sons. Avrei voluto essere meno entusiasta. Leggo Ocean tutto d'un fiato e poi chiudo. 
Lo riapro. Lo richiudo. Alla terza lettura cerco un motivo. Un successo di pubblico e critica. In Italia tradotto da Damiano Abeni e Moira Egan per la Nave di Teseo. I premi più importanti. A un certo punto desidero pormi in modo diverso rispetto a questo libro, nonostante io non capisca cosa stia cercando di fare veramente. Lo richiudo.
Dopo due settimane eccomi. 
Mi viene in mente un episodio di qualche anno fa riguardo il caso di J.T.Leroy e il suo "Ingannevole è il cuore più di ogni cosa", pubblicato in Italia da Fazi. Un romanzo autobiografico sulla vita del protagonista, molte copie vendute e un film diretto da Asia Argento con Marilyn Manson. Dopo qualche anno si scoprì che il caso era stato montato a tavolino, J.T.Leroy si rivelò nome inventato e il libro lo aveva scritto una signora di mezza età, madre di famiglia. Il personaggio di J.T.Leroy con storia annessa (infanzia difficile, madre tossicodipendente e prostituta, affidato ai nonni predicatori fanatici etc.) sarebbe stato più accattivante ai fini delle vendite e così fu. Quando si scoprì la verità il caso si smontò e di Laura Albert (vero nome dell'autrice) non si seppe più nulla. 
Un fake praticamente. Ma viva i fake. Viva Facebook. Viva i prodotti della libertà.
Ma torniamo al libro. La storia ci sta (Ocean è il nome d'arte che Ocean ha scelto per sé, la sua vita travagliata è quella su cui lo stesso autore insiste in tutte le interviste). C'è pure che i salotti buoni della critica e i lettori sono continuamente affascinati dalle storie tragico-malinconiche con possibilità di lieto fine. C'è che il lieto fine lo cerchiamo un po' tutti. Ci sta che comunque Ocean ha un certo talento, questo sì. Ed è pure un bravo performer, accattivante, triste al punto giusto. Ecco la storia, ecco il libro. A sostegno di questo scavare nella vita privata dell'autore c'è che nelle varie recensioni internazionali poco si parli del libro ma appunto della vita di Ocean Vuong (penso al New York Times o al Guardian).

Molti parlano della poesia di Ocean come una poesia "sperimentale" e "nuova". Ma cosa significa nel 2018 fare poesia sperimentale, poesia nuova? Sperimentale rispetto al verso e all'utilizzo del verso? O sperimentale per i temi trattati o il linguaggio? Penso all'utilizzo forsennato della “&” o al linguaggio definito tra il colloquiale e il lirico (??) Inutile ricordare che Bukowski già c'è stato. E anche tutti gli altri. Cosa cerchiamo veramente? Non è che l'idea del nuovo ci affascina a tal punto da deviare lo sguardo dalla poesia? E di poesia parliamo, certo. Il libro è buono in vari punti, soprattutto quando non esaspera il linguaggio, soprattutto negli alternati toni lirici o in alcuni momenti in cui la poesia di Ocean sembra dare risposte (o sentenze?): dimmi che è stato per la fame/ & non per nulla di meno. Perché fame significa/dare al corpo ciò che sa/che non potrà preservare". Nella vulnerabilità: "o madre/o mano minuta, insegnami/ ad abbracciare un uomo come la sete/abbraccia l'acqua. Fa' che ogni fiume invidi/le nostre bocche". Ocean rende meno quando vuole fare l'outsider, quando - intenzionato a creare una propria mitologia - ne crea una per il pubblico e fa fiction. Anche quella ferita di linguaggio vietnamita/americano che avrebbe potuto illuminare di più il tutto, non si accende e il lettore pare spesso in attesa di qualcosa che non arriverà. E non arriva. Sembra che tutto viva immerso nella trama della vita di un ragazzo un po' sfigato (ma lui ci tiene proprio a questo status) a discapito dell’autenticità e questo diventa un problema. Riflettere su “Cielo notturno con fori d'uscita" di Ocean Vuong significa nondimeno riflettere su una questione: un buon libro lo fa la critica? Forse sì.

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