di Asia Vaudo
"Tu mi fai buona e bianca come un bambino/ che dice le preghiere e s'addormenta".
Moriva il 3 dicembre la giovane poetessa Antonia Pozzi (1912-1938), la mia poetessa preferita.
Morì suicida a ventisei anni avvelenandosi con dei barbiturici davanti all'Abbazia di Chiaravalle a Milano. Qualcuno disse che morì per amore. Era innamorata del suo professore di latino e greco Antonio Maria Cervi, un uomo "non troppo bello" ma dotato di una cultura profonda che riusciva, col "lavorìo della sua fiamma" a rendere i suoi studenti da "gemme scure, informi" a creature sulle quali poter "snodare" quelle "anime in boccio". La storia di Antonia mi ha sempre commossa, mi chiedevo da dove arrivassero la bellezza e la dolcezza di quei versi così pieni d'amore da far piangere, così tanto che decisi di scrivere la mia tesi magistrale sulla sua poesia e su quell'amore mancato, quello di una giovane ragazza milanese che già annusava i "venti di guerra" che avvolgevano l'Europa e di un uomo molto più grande di lei che perse il suo fratellino in guerra e che rispondeva alla bruttura del mondo con la cultura e la bellezza. A lui dedicava versi come "e tu accogli la mia meraviglia / di creatura/ il mio tremito di stelo vivo nel cerchio /degli orizzonti,/ piegato al vento/ limpido – della bellezza", gli dedicava poesie piene di colori, "e tu lascia ch’io guardi questi occhi / che Dio ti ha dati,/ così densi di cielo –", e nelle sue lettere lo chiamava Antonello: "Antonello, accanto a te io costruisco la mia vita vera; accanto a te è la santità della mia esistenza", e parlava di Dio, e quasi si scusava: "anche se io non riuscirò mai a vedere nel vostro Cristo più che l’uomo, pure saprò farmi buona, saprò camminare, saprò crearmi dentro sempre più il mio dio: e non cercherò di conoscerlo, perché conoscerlo è rimpicciolirlo", perché aveva questo desiderio immenso di "essere buona", prima ancora di credere in Dio e solo al suo professore scriveva: "Ho tanta fede in te. Mi sembra / che saprei aspettare la tua voce / in silenzio, per secoli / di oscurità", perché "Tu sai tutti i segreti, / come il sole: / potresti far fiorire / i gerani e la zàgara selvaggia".
L'hanno omaggiata in tanti, primo tra tutti Montale che fa partire una poesia a Clizia nel 1979 con il verso "Ho tanta fede in te che durerà/ (è la sciocchezza che ti dissi un giorno) / finché un lampo d'oltremondo distrugga / quell'immenso cascame in cui viviamo".
Ricordo che una mia amica qualche anno fa mi disse: "Che meraviglia Antonia Pozzi. Come è possibile che Antonio Maria Cervi non l'abbia saputa amare?", e il suo volto si strinse in un sorriso tenero.
Ci ho pensato molto su. Non so se l'abbia amata, ma ho voluto scrivere una tesi per arrivare a un punto: che non si può morire per amore. Mi piace pensare che l'etimologia di amore sia "a" + "mors", cioè "assenza di morte", che è stata smentita dai linguisti.
L'amore è il contrario della morte. Lei amava il suo professore ma era consapevole che "noi amiamo perdutamente soltanto ciò che non avremo mai", forse perché le cose più belle non si hanno mai veramente e lo aveva capito bene, Antonia Pozzi, meglio di tutti noi che l'amore non è possesso.
Il contrario dell'amore è la depressione, quella che la soffocò e che lasciò morire altre giovani autrici nei secoli come Silvia Plath, Amelia Rosselli, Virginia Woolf... ma che era un tabù e non se ne parlava.
Il poeta non è mai creatura felice - non può permetterselo - ma c'è un abisso tra la tristezza edificante e la depressione che distrugge. Occorrerebbe parlare di più dei problemi psichici che attanagliano le vite di tanti giovani, poeti e non. Non è mai giusto desiderare di morire a vent'anni. Per quanto la nostra anima sia incline alla sua poesia e per quanto si possa guardare - e abitare - il mondo poeticamente.
Antonia Pozzi era piena d'amore, ne era meravigliosamente ricolma.
E la sua vita fu tutta un dono. Fu tutta il desiderio di essere buona ("tu mi fai buona e bianca come un bimbo / che dice le preghiere e s'addormenta") e di essere degna, della vita e di quel mondo che forse non l'ha mai capita. Quasi tutte le sue poesie sono uno slancio verso al cielo - lei fu anche una bravissima scalatrice - verso la luce.
Anche nella sua ultima lettera prima di morire:
"Papà e mamma carissimi, non mai tanto cari come oggi, voi dovete pensare che questo è il meglio. Ho tanto sofferto… Deve essere qualcosa di nascosto nella mia natura, un mal dei nervi che mi toglie ogni forza di resistenza e mi impedisce di vedere equilibrate le cose della vita… Ciò che mi è mancato è stato un affetto fermo, costante, fedele, che diventasse lo scopo e riempisse tutta la mia vita. Anche i miei bambini, che l’anno scorso bastavano, ora non bastano più. I loro occhi che mi guardano mi fanno piangere… Fa parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite… Direte alla Nena che è stato un male improvviso, e che l’aspetto. Desidero di essere sepolta a Pasturo, sotto un masso della Grigna, fra cespi di rododendro. Mi ritroverete in tutti i fossi che ho tanto amato. E non piangete, perché ora io sono in pace.
La vostra Antonia".
Fonti foto: dal web
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