La poesia (a mio avviso un po' retorica ma vivace) di una ragazza è stata ospitata nella cerimonia dell'insediamento del neo-presidente degli Usa, Joe Biden. Ho chiesto di commentarla a Marta Bardazzi, esordiente poetessa italiana, vissuta a lungo negli Usa. Ce ne offre anche la sua traduzione. La poesia e la politica sono due cose diverse, e il bello della democrazia è che ci sono idee e visioni diverse mentre il bello della poesia - per chi la ama davvero e non riduce tutto in modo strumentale alla politica - è che con i poeti puoi anche non andare d'accordo politicamente ma cum-cordis, concordare poeticamente e umanamente (si chiama cultura).
Grazie a Marta B. e a presto con il suo libro di esordio!
Davide Rondoni
Traduzione di Marta Bardazzi
"The Hill We Climb" (La collina che noi saliamo)
di Amanda Gorman
All’arrivo del giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra infinita.
La perdita che ci sentiamo addosso, un mare che dobbiamo affrontare.
Abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che è “giusto” non sempre sono giustizia.
Eppure, l’alba arriva prima ancora che ce ne accorgiamo.
In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo sostenuto e testimoniato una nazione che non è rotta, ma solo incompiuta.
Noi, gli eredi di un paese e di un’epoca in cui una ragazzina magra, afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single,
può sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi
a recitare davanti a un altro presidente.
Certo, siamo lontani dall’essere raffinati, puri,
ma ciò non significa che siamo impegnati a formare un’unione perfetta.
Desideriamo plasmare un’unione che abbia uno scopo,
di dar vita a un paese che sia devoto a ogni cultura, colore, carattere e condizione sociale.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci separa, ma per riconoscere quello che abbiamo davanti.
Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze.
Lasciamo cadere le braccia ai fianchi così da poterci abbracciare l’uno con l’altro.
Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per tutti. Lasciamo che il mondo, se non altri, ci dica che è vero:
che anche nel lutto, siamo cresciuti.
che anche nel dolore, abbiamo sperato.
Che anche nella stanchezza, ci abbiamo provato.
Che saremo legati per l’eternità, insieme, vittoriosi.
Non perché ci saremo liberati della sconfitta, ma perché non semineremo più discordia.
Le Scritture ci dicono di immaginare che ciascuno possa sedere sotto la propria vite e il proprio albero di fico e lì non essere spaventato.
Per vivere all’altezza del nostro tempo, la vittoria non può venire dalla spada, ma dai ponti che avremo costruito.
Questa è la promessa da celebrare, questa è la collina da scalare, se avremo il coraggio di farlo.
Essere americani è più di un orgoglio che ereditiamo.
È il passato di cui facciamo parte ed è il modo in cui lo ripariamo.
Abbiamo visto una forza che avrebbe scosso il nostro paese anziché tenerlo insieme.
Lo avrebbe distrutto, se avesse annullato la democrazia.
Uno sforzo quasi riuscito.
Ma se può essere periodicamente rimandata,
la democrazia non può mai essere permanentemente distrutta.
A questa verità, a questa fede, ci affidiamo,
perché finché avremo gli occhi sul futuro, la storia avrà gli occhi su di noi.
Questa è l’era della redenzione.
Ne abbiamo avuto paura, ne abbiamo temuto l’inizio.
Non eravamo pronti a essere gli eredi di un’ora tanto buia,
ma, all’interno di questo orrore, abbiamo trovato la forza di scrivere un nuovo capitolo, di offrire speranza e risate a noi stessi.
Una volta ci chiedevamo come sopravvivere alla catastrofe. Oggi dichiariamo che in nessun modo la catastrofe può prevalere su di noi.
Non marceremo indietro per ritrovare quel che è stato, ma andremo verso quello che ci aspetta:
un paese ferito, ma intero, caritatevole, ma coraggioso, fiero e libero.
Non saremo capovolti o interrotti da alcuna intimidazione, perché noi sappiamo che la nostra immobilità, la nostra inerzia andrebbero in lascito alla prossima generazione.
I nostri errori diventerebbero i loro errori.
E una cosa è certa:
Se useremo la misericordia insieme al potere, e il potere insieme al diritto, allora l’amore sarà il nostro lascito e il cambiamento,
dando ai nostri figli un nuovo diritto di nascita.
Perciò, fateci vivere in un paese che sia migliore di quello che abbiamo lasciato.
Con ogni respiro del mio petto martellato in bronzo, trasformeremo questo mondo ferito in un luogo meraviglioso.
Risorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Risorgeremo dal Nord-Est spazzato dal vento, in cui i nostri antenati, per primi,
fecero la rivoluzione.
Risorgeremo dalle città del Midwest, circondate dai laghi.
Risorgeremo dal Sud circondato dal sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ripartiremo.
In ogni nicchia nota della nostra nazione, in ogni angolo chiamato paese,
la nostra gente, diversa e bella, si farà avanti, stanca eppure stupenda.
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sorgerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre la luce,
se solo avremo il coraggio di vederla.
Se solo avremo il coraggio di essere noi luce.
Nota di Marta Bardazzi
Una ragazza ventiduenne che porta sulle sue spalle una storia intera. Tutto il mondo sta parlando di Amanda Gorman, la giovane poetessa afro americana - prima al mondo a ricevere il prestigioso titolo di National Youth Poetry Laureat - che ha accompagnato Joe Biden nel giorno del suo insediamento alla Casa Bianca con la poesia dedicata a questo momento: “The Hill We Climb” (La collina che noi saliamo).
Amanda ha tenuto inchiodato il mondo intero per quei 5 minuti e 43 secondi di “performance”. Lei non lo sa, o forse non lo sapeva prima di questo reading, ma in quei pochi minuti davanti al mondo ha incarnato la storia dell’America. Sì, quella nazione “che non è rotta ma solo incompiuta” quella patria moglie di tutti i suoi cittadini, piena di sogni e ideali che in fondo in fondo appartengono a tutti. La ventiduenne ha messo in luce il razzismo, la mancanza di unità di un paese intero davanti alle fatiche, ha dato un nome alla discordia che ammazza gli animi, agli scontri di Capitol Hill. La sua semplicità di “ragazzina magra, cresciuta da una mamma single”, come si definisce nella sua poesia, rispecchia i sogni di Martin Luther King, le lacrime di George Floyd, la commozione di Kamala Harris nel raccontare le sue origini.
Questo entrare in contatto con una storia, incarnare dei messaggi validi in tutte le lingue del mondo può succedere grazie all’espressione artistica. È vero, molti non ne capiranno l’importanza e useranno i suoi versi come hashtag su Instagram o come slogan da tatuarsi sulle braccia, ma questo rispecchia il desiderio di verità che esiste in tutti noi. Davanti a una sincerità disarmante come quella che echeggiava nei versi e negli occhi di Amanda, non possiamo non sentire una certa attrazione verso la “verità” che si svela con le sue parole. “The Hill We Climb” ci aiuta a “riconoscere quel che abbiamo davanti” e viverlo.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci separa, ma per riconoscere quello che abbiamo davanti.
La poesia semplice e quasi cantata di Amanda Gorman mette gli Americani e il mondo intero davanti alla verità, incarnata da una ragazza come altre, che vive nelle fatiche di oggi, nelle dinamiche difficili di una millennial. Con i suoi versi, Amanda toglie la mascherina al 2020, per guardare in faccia e affrontare una volta per tutte un anno così drammatico che ha rafforzato il bisogno di unità, non solo più spirituale ma anche fisico, tra le persone.
Quale migliore speranza per i nuovi inizi, qualunque essi siano, se non i suoi versi finali:
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sorgerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre la luce,
se solo avremo il coraggio di vederla.
Se solo avremo il coraggio di essere noi luce.
Photo credit: Rob Carr