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Alma Spina, “Rovi”

Il rovo, Rubus ulmifolius, è una pianta infestante, perenne e spinosa. Di solito, il contadino si approccia al rovo con violenza, tende a volerlo estirpare. Ma il rovo è colui che dona al terreno un nuovo DNA. Il rovo cresce quando l’equilibrio del terreno è alterato da agenti esterni. Quel terreno che non ha più una sua intelligenza viene conquistato dal Rubus, il quale dona protezione alle nuove piante e spacca il terreno con le sue radici forti e profonde, permettendo all’ossigeno di infiltrarsi nella terra compattata dalle lavorazioni umane e rinasce così la vita.

Rovi è una silloge poetica che comprende poesie scritte dall’autrice tra il 2009 e il 2017. Le poesie che si trovano al suo interno sono state suddivise in tre macro-sezioni: Rovi – Fuochi – Pietre/Foglie. La struttura in cui si è scelto di agire è un’evoluzione del processo poetico dell’autrice. All’interno della prima macro-sezione, Rovi, si troveranno poesie legate alla vita personale dell’autrice, un linguaggio poetico meno definito (come in alcuni scritti del 2009/2010), un groviglio di emozioni. In Fuochi, titolo liberamente ispirato a un testo di Marguerite Yourcenar del 1936, rientrano testi poetici ispirati da grandi personaggi della mitologia, della Bibbia o della letteratura, come Caino, Abele, Medea, Ofelia, Maria Maddalena, Virginia Woolf e altri. In Fuochi l’autrice sperimenta un dialogo che sia un tramite, che passi necessariamente dalle esperienze della grande tragedia, del grande amore, del grande insuccesso. Questo passaggio obbligato conduce a passo deciso verso Pietre/Foglie: in questa macro-sezione troveremo opere poetiche ispirate alla natura, ai comportamenti animali, alla rivoluzione poietica o del fare che si fa manifesto del linguaggio dell’autrice.

Dal rovo, rampicante e asfissiante, nasce nuova vita. Prende forma attraverso le parole di altri, per giungere infine al sublime e necessario: il semplice, il poco, il quasi niente. La vita selvatica nel bosco dona all’autrice un occhio nuovo, un parlare al mondo di pochezza, di piccolezza. In tutto questo rinasce la vita, respira la terra.

Da Rovi

Risalgo dal mare alle montagne
pianto il chiodo e ti lascio
le onde tumultuose. Mi inerpico
nei triangoli duri
negli spigoli
ora appuntiti ora
morbida curva di donna
nella cima beffarda
che non ha bisogno di me.
Mare io devo puntare il piede
devo incastrarlo forte e lasciarlo
là, sì, dove pietra si compone.

Così
col grembo spento e brulicante
sto con avanzi di pezzi
con tonfi per terra dei resti
di tutto il mio fuoco
che non t’appetisce.
E tu sei cieco, mio tremendo
mio tremendissimo amore
con le mani bucate.
Nemmeno per poco
mi prendi con te non
per un piccolo piccolo
errore non per rimanenza
di scarto di tempo vuoto.

Io non m’appartengo.
La vita mi scorre
vedo l’affanno intorno
nelle sopracciglia nel
capello bianco
vedo tutto ma
no – non m’appartengo.
Mi pare tutto un passaggio:
arriva
m’attraversa
si allontana
ed io no
non m’appartengo.
Vorrei guidarmi io
darmi una direzione un fatto
un concretamente un dove
ma tutto barcolla se poi
no, qui non m’appartengo.

Davanti a te sorriso,
agnello che si lascia addormentare
corpo stanco e inerme
gioco inesauribile di salti di corda
conti alla rovescia.
Stupisce che col tempo
nulla è mutato
che in fronte alla tua parola
io sono sempre il sì
il giusto e inattaccabile
il fiero eterno riscontro
la soddisfazione che bramo
di donarti sempre.
Sono ombra che ti si attacca
che ti segue infallibile
che picchia quando tu picchi
che chiama quando tu chiami
che perdona quando tu perdoni.
Non mi mostro mai a te come scelta
come imposizione di contrario
come giudizio di accusa.
Madre,
in questi anni ho imparato
a renderti grazie
non calcolando il lasciato andare
e il tuo lavarti le mani
sempre.
Ho imparato a farlo fuori di te
quando mi sei vicina
e confidente
quando mi sei risata e scherzo.
Non oso segnare sul foglio il punto
che ci distolga da questa immagine
di perfezione e inganno
che siamo diventate col tempo.
Tu vittoria,
io terriccio che sopporta.
Tu chiamata, io cane che rincorre.
Tu ragione,
io archivio di memorie.
Su di te io sparo sempre a salve.
Vorrei che una parola ti cadesse dentro
per una volta
e non intorno,
non per poco.

Da Fuochi

La vita è stata
un’impresa tremenda
per me, maledetta
creatura viziata
mi lascio scivolare
nella bacinella di Rhoda
assieme ai petali stanchi.

Sono stati giorni monchi
con le ali rattrappite
le zampe infangate.
Sono state notti insonni
di visioni rotte di stenti
di pozzanghere grandi.

Inerme
il passo il piede
guida, acqua
sono acqua
e niente
mi contiene.

Poesia
mi sei perno nel mare
con le tue rocce antiche
mi sei amaro ghenos
linguista dei saggi
all’altra riva del fiume che
così veloce veloce scorre.
Tu vieni alla mia casa
mi prendi con fare
burrascoso mi abbracci
mi scegli come tua parola
a farti sbandieramento
interprete tranquillo
dell’onda in tempesta.
Stiamo sul bordo
dondolanti come
bambini di altalene
come cullati nel sonno
ma nessuno ci prende
nella terra scavata
nei buchi nessuno
ci aspetta. Poesia
tu mi tieni legata stretta
come corda di marinaio
alla mia vita tondeggiante.

Un passo ci separa: Uno.
L’amore di Afrodite per Adone,
il morso di Ugolino
Odisseo che scorge Itaca.
Solo Uno ci separa:
la sacralità di Maddalena
offerta in dono di terra e madre
a questi buoni ascoltatori.
Uno solo, un passo:
quello che compì Orfeo
quando la luce già illuminava
i ramati riflessi nel crine.
Da questa sponda, mia amata
non si può tornare indietro.
Muoverti richiesta di passo
non posso, misera me:
che fare, mia luce, mia indovina?
Dagli occhi illuminerò la via nel mare
che tu possa seguirla, un giorno,
nel tempo che ti appartiene.

Da Pietre/Foglie

Gialle si son trasformate
le docili foglie di tiglio
il possente.
Il suo petto s’è fatto più chiaro
meno tronfio meno
statuario.
Nella discesa ripida
la sua giovinezza
sfiora, ma s’imbellisce
di saggezza e morbidi cuscini
ai suoi piedi.
Non v’è appiglio di sorta
nel mutamento:
come di natural quiete
tutto fluisce
nonostante me
tutto va
nonostante me.

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