Alessia Iuliano, Dopo la favola, Capire Edizioni, 2025
di Michela Silla
Affiora nei versi della poesia che apre Dopo la favola di Alessia Iuliano (Termoli, 1995) “il dolore di nascere umano” cantato da “una fiamma tempesta, fiamma soprano” (p. 9). È una musica viva di rime baciate, alternate e rime interne come “fino a salvarli, amarli” (p. 36) o “fammi vedere oltre e trovare lieve la morte” (p. 68).
La raccolta poetica è divisa in cinque sezioni (Non saranno le mie poesie d’amore; L’amore da bambina; Per i cieli sopra i TIR; Finché saremo amore; Altre terre), ognuna introdotta da una citazione che ne preannuncia l’atmosfera, la prima delle quali, di Hannah Arendt, recita: “Gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per incominciare”. E si incomincia amando, non di un amore che si crogiola in sentimentalismi e si rifugia al conforto caloroso del sapersi accompagnati, ma che solleva domande e infrange certezze – come accade nella poesia che vale –, genera meraviglia, apre al fulcro della pena fino a toccarlo e a chiedersi: “chi sono?” (p. 9).
Non saranno le mie
poesie d’amore
piuttosto di rabbia incendiaria
di visione e pudore
sono poesie di febbre
ardore nel nome che non oso
pronunciare, nel segno di non so
quale veggenza, stupore sulla lingua
del mare, l’onda che mangia la spiaggia
la tua bocca di sabbia
mi tocca e non mi tocca, mi scompone
di grazia tutta la faccia
(p. 16)
Nelle poesie della Iuliano c'è un amore che brucia. Infatti, focalizzandosi sui principali aspetti linguistici, si nota che i vocaboli relativi all’ambito semantico del fuoco sono numerosi, con 6 occorrenze di bruciare: “una carta / geografica del tempo / lì in fondo brilla / acceca, a volte brucia” (p. 35); 5 occorrenze di fuoco: “all’abbraccio del sole sulla valle / che apre e dà fuoco alla notte” (p. 70); e infine fiamma con 4 occorrenze: “Dentro di noi / in fondo, in fondo / c’è una fiamma, dice mia mamma” (p. 9).
Si registra un'alta frequenza anche del campo semantico della luminosità, con luce (8 occorrenze): “conosco / la luce che intaglia il desiderio” (p. 17); e sole (6 occorrenze): “la stessa dolcezza del sole / amarla tutta” (p. 68).
Ma la parola mare trionfa (12 occorrenze) e con essa il vento (9 occorrenze). Si riportano due esempi per ciascun sostantivo: “mi manca il mare” (p. 43); “Lui scrive l’alfabeto del mare a settembre / sul muro della notte” (p. 50); “per i tuoi diari di vento / per quei mille chilometri e altri cento” (p. 15); “proteggimi nel nome dell’unico nome / con cui mi potrai chiamare mai al vento” (p. 18).
Accanto al mare appare Termoli, città d'origine della poetessa, col suo vento meridionale. Regala una tregua, porta a lambire per un poco la quiete, a sentire l'amore.
Però, come si sta tranquilli
sussurra una passante, le rubo nella sera
la parola che al vento confessa
come si sta tranquilli
e la voce, la mano destra sulla pietra
accanto all’uomo che la ascolta
tranquillità, come a dire ora sfioro la pace
sul fianco del mare, a Termoli si può
ballare senza mostrare le gambe
incontrare sulla bocca di una donna
il ritmo che scuote la pietra delle mura
al belvedere di un piccolo porto
gli alberi delle barche, il faro, tutto
l’amore lo sento di questo tempo
(p. 58)
È vermiglio il colore che domina nella trama lessicale delle poesie: il tono del cuore “rosso, rosso acceso” (p. 71), “tuo abisso incastonato tra rami / e rossi rubini” (p. 19) e ancora una volta dei fuochi “alti, gialli e rossi” (p. 57) e poi delle “labbra amarena” (p. 32), “le bocche rosse come bacche” (p. 48). Segue l'azzurro “ventilato della costa” (p. 37), nel quale spunta un volto e tutti i miracoli che “hanno un nome” (p. 44); è la tinta dei segni prodigiosi, che innalza e libera, spiega le ali per abbracciare tutti gli amori.
Tra i tempi verbali prevale il presente indicativo, l'immediatezza che rende altresì durevoli i ricordi:
Vado in apnea, non me ne accorgo
so il disegno della memoria
non un sogno mia madre, mio padre
la fontanella in montagna
puoi berla tutta quest’acqua è freschissima
è freschissima la voce bambina
che gioia poterlo raccontare, poterla
trattenere ogni giorno, tutti i giorni
nel mio fiato la nostra vita
(p. 28)
Così si mantengono tenacemente a galla perfino le memorie più strazianti:
Felicitazioni
il tuo destino ha un buon odore
di legno e di pane
qualche agrume
nasconde la solitudine
delle cinque portate al pranzo
di Natale. Il tempismo
della vanità è tutto qui:
il mio corpo dilaniato, e tu
chiedi perché non abbia fame
(p. 31)
Rimanendo sul sistema verbale, anche la frequenza dell'infinito è significativa: pregare, cantare, volare, salvare, vivere, infrangere, riscrivere, benedire, morire, fiorire e tanti altri ancora. È il modo dell'indeterminatezza, non impone limiti temporali e pertanto offre respiro ai versi assumendo linguisticamente l'illimitatezza dei quesiti profondi e tremendi che hanno l'orizzonte del mare:
*
[…] proteggimi nel nome dell’unico nome
con cui mi potrai chiamare mai al vento
o in faccia ai castelli sui tuoi passi
ma non affannarti, amore
per me, so io soltanto per quale abisso
cantare e nell’acqua, nel pianto pacificare
(p. 18)
*
[…] domando di tornare embrione
poi creatura, non tua
(p. 25)
*
Proporsi ogni mese un po’ di gioia
cercare al mattino, tra le coperte
lo spiraglio di sole che incornicia
i tuoi piedi
riscrivere la parola inizio sul tuo corpo
e baciarlo tutto, fino a che non sei tu
a baciare me
(p. 62)
I tempi verbali al passato, più sporadici, sono rappresentati principalmente dal passato prossimo (“e ti ho amato, conosco / la luce che intaglia il desiderio”, p. 17; “cento volte ho piantato arcobaleni / negli occhi, con le pietre mi sono scavata”, p. 35) e più raramente dall'imperfetto, in quest'ultimo caso dando continuità ad azioni passate senza specificarne la conclusione (“Dovevamo essere noi”, p. 17; “Coincidevamo con il destino”, p. 29).
È interessante l'uso delle interrogative, quasi sempre in ultima posizione, che intensifica il senso di indefinitezza, evidenzia la mancanza di risposte e riversa sulla pagina la scia di un enigma consegnandola al lettore:
e ruggisce bellezza quell’unico suono / si accorda al maestrale, domanda / chi sono? (p. 9)
quanto può essere infelice / questo raccordo di nascite? (p. 35)
cento volte ho piantato arcobaleni / negli occhi, con le pietre mi sono scavata / dentro, per che cosa? (p. 35)
Chiederemo scusa / al cesareo della cenere / per i cieli sopra i TIR / nell’assedio dei fiori di cemento? (p. 45)
Potrà dire domani non piove / ti porto al parco a raccogliere castagne / come mia madre ha cucito nella luce / i miei primi sorrisi al tempo? (p. 46)
E se fossero i nostri sogni troppo grandi / a schiarire la gola all’inverno / nel lampo di cielo che si apre / e piange con la tua voce? (p. 47)
quella certezza è amore? (p. 50)
promettimi, proverai ad essere felice? (p. 61)
come fai a restituirmi la pace? (p. 72)
Misterioso e indefinibile è l’amore. Da bambina la poetessa scopre “la caduta delle ginocchia / sul dolore del cemento” e “l’attesa / bugie in un volto di vetro” (p. 27); si domanda se abbia avuto un senso scegliere l’amore cento volte e scavarsi dentro: “per che cosa?” (p. 35). Ma amare (e amarsi) è rischioso, lo è “abitare il dolore, il corpo” (p. 36). Si può provare a cambiare nome, però restando uguali all’azzurro, con braccia e occhi aperti, e a lasciarsi stupire da grazie inattese correndo il rischio degli addii che rianimano dolori antichi, a chiedersi “se alla fine tutto si perde / se resta una certezza” (p. 50), se quella certezza sia amore.
Quindi, in un momento altissimo, tutti gli interrogativi confluiscono in una preghiera – quasi una supplica – (“lasciaci, senza consolazione / Santa Maria della Purificazione[1]”, “finché saremo necessari / finché saremo amore / tu lasciaci qui”, p. 59). Si sente finalmente l’amore di questo tempo. “Proverò ad essere felice” (p. 60) scrive la Iuliano, e pare di vederla mormorare dentro l'abbraccio, col cuore di un altro vicino, “un cielo dove fiorire anche d'inverno”:
I tuoi occhi buoni
il niente che per me puoi fare
promettimi, proverai ad essere felice?
proverò ad essere felice
non ha fine questo abbraccio
amore mio, il tuo cuore è un cielo
dove fiorire anche d’inverno
(p. 61)
La poetessa porge nei suoi versi un amore sofferto, ma osservato con curiosità e senza preconcetti, vissuto anzi come spinta a interrogarsi, a non smettere di cercare, avvertito come segno di una forza più alta che invita ad andare oltre: dopo la favola.
[1] Riferimento alla Cattedrale di Termoli, Santa Maria della Purificazione, Alessia Iuliano, Dopo la favola, Capire Edizioni, Forlì 2025, p. 59.
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