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Alcune poesie di Susana H. Case

Nota e traduzioni a cura di Caterina Roversi

 
Susana H. Case è autrice di cinque libri di poesia, di cui i più recenti Drugstore Blue, edito nel 2017 per la Five Oaks Press, e 4Rms w Vu, per la Mayapple Press, e di quattro racconti versione tascabile.
Una delle sue raccolte, The Scottish Cafè, edito dalla Slapering Hol Press, è stato ristampato in una versione con testo a fronte inglese-polacco (Kawiarnia Szkocka), edito dalla Opole University Press in Polonia.
Le sue poesie sono largamente rintracciabili su riviste e antologie americane.
Fra le altre cose, la dottoressa Case è anche professoressa e coordinatrice presso il New York Institute of Technology di New York.

Quella Volta a Bermuda
Quando le tempeste s’irruvidiscono di polvere,
quando arriva quel particolare calore invernale,
perfino a New York,
esplicitato dai sandali aperti e unghie smaltate,
quando lo zigolo rosso, giallo e blu
passa le sue giornate sulla vegetazione del parco,
invece che soggiornare a Panama,
allora, guardando fuori dalla finestra
velata dai residui di pioggia,
mi ritorni in mente

al mio fianco, sul sentiero di quell'isola,
sempre col cappello e gli occhiali da sole,
sorridevi a quell'intrico di verdura,
i fiori rilucevano come le vecchie pellicole a colori,

e mi ricordo quella notte, a Bermuda,
la bottiglia di champagne,
scuotevamo quell'albero,
sperando di scorgere quelle rane ornate e guardone,
invece essere infradiciati
dalla pioggia ancora posata sulle foglie,
ridevamo fino a perdere il respiro, o a cadere,
io che ignoravo il mio piede rotto, e tu che ignoravi
la nostra annata malconcia,
e le perdite mitigate da un cielo
stipato di costellazioni,
sfumato fra le luci circostanti, abbiamo scovato l'oscurità
di quel giorno appena passato e fagocitato, e poi

è sfumata nell'evanescenza della luna piena sul mare.

Blu Supermercato

Assocerò per sempre le pesche a quel vinaccio nelle damigiane,
appiccicoso, e al girare in macchina, in tondo,
con stormi di impavidi ragazzini, con te,
la tua lingua, dolce, cerca di farsi strada
nella mia bocca, la tua mano giocherella con la cerniera
dei miei jeans, il mio sorriso complice, le mie palpebre
sfumate di un blu supermercato. Quella volta che l'autovelox
sfiorò i novanta, ho scoperto che, dopotutto, non ero fatta
per assaporare il pericolo, e forse quella frenata
mi salvò dal diventare come Helen la timida,
un genio della matematica, la chiamavamo, lei che
non si truccava mai per coprire le sue lentiggini,
lei che si sparò troppa roba in una volta sola,
morì nell'arco di una notte, la pioggia,
instancabile, come quella che cadde nel pomeriggio
in cui dissotterrai l'uccellino sepolto, volevo vedere
se era volato in cielo. I vermi tutti presi dallo scavare
quel corpo immerso tra il fango e le pozzanghere,
io sono scappata urlando. Quando ti ho rivisto,
anni dopo la fine del liceo, accartocciato davanti ad un alimentari,
volevo fare a pezzi tutto quel dolore: i vestiti incrostati di roba,
il tuo sguardo annebbiato. Starai meglio senza di me,
mi avevi avvertita.

Avevi ragione, ma le tue parole erano acqua.
Non riuscivo a pensare che ad Helen, trascinata via dalla stessa corrente.
Amare da giovani, per me, significava vetri appannati, e nebbia ovunque,
tutto era intriso di vino, di afflizione, o desiderio.
Amare da vecchi significa che ogni tanto, scorro
la lista degli studenti deceduti. È sempre più lunga,
e dovrebbe esserci il tuo nome – ma non c'è.

E così, vado per la mia strada, e tu per la tua.

Quanto spesso accade di perdere una coincidenza,
ritrovarci sul binario sbagliato in stazione,
al piano sbagliato, sulla strada sbagliata.
Io, che ti aspetto al varco del MET

dove si trovano tutti i Rodin, mentre tu
ti ritrovi accanto al bouquet di Redon.

Cerco di non sciuparmi il viso con le lacrime.
Dev'esserci qualcosa che stona, o un'interferenza

nell'atmosfera. Quello che mi spinge a sedermi,
ad aspettare, vicino alla fontana del Bernini

in Piazza Navona, contemplando i quattro fiumi,
un'inutile mappa delle strade

di Roma, ripiegata in tasca, mentre tu
sei a Rome, New York, e ti chiedi perché

dobbiamo sempre fare così, e contempli la neve,
che tu odi così tanto, mentre cade sui pini.

Natura Morta di Matrimonio Fallito

Ti ho mentito, ti avevo promesso che avrei imparato
a guidare con il cambio; tu non sapevi farlo – altrimenti,
non saresti venuto con me a Oslo.
Quando quel maggiolino verde non partiva,
e non partiva ancora, nel parcheggio dell'autonoleggio,
all'aeroporto, con una come me al volante, ti ho convinto,
senza alcun pudore, a provare a guidare, e ti ho mentito;
ti ho giurato che ti avrei amato per sempre.
L'ho fatta franca solo perché mentire era diventata
un'abitudine, il sesso non era male, e tu volevi credermi,
anche se avevi già il sentore,
che non parlassi sul serio. Non avevi ancora imparato
quanto possano essere effimere
le donne e le auto. Insieme,
ci siamo stupiti davanti ai fiordi, abbiamo sfogliato brochure
sui ghiacciai, sulle scogliere, abbiamo visitato borghi medievali,
e le chiese con gli architravi in legno, prima che quel cantante rock
Neonazista gli desse fuoco.

Hai combattuto con quella maledetta macchinetta
portandola a nord, perché io sognavo di vedere le renne,
perché cercavi ancora di compiacermi. Ti ho mentito,
e ti ho promesso che sarebbe stata la più bella vacanza di sempre,
che quando saremmo tornati a casa, mi sarei calmata.
Anche se non ho mai imparato come si guida col cambio,
ho finalmente capito che per me, andare dritto
era la cosa difficile. Non richiede tanta abilità
mantenere la distanza di sicurezza: basta
spingere sulla frizione, e schiacciare con decisione il freno.

Gustav e la Bicicletta Volante

Vorrebbe innamorarsi di una donna. Ma nessuna lo vuole,
per questo lui sogna di costruirsi
una bicicletta volante.

Finiti i manicomi - trentacinque anni di solitudine -
chiuso in un ospizio, assembla
ali e vessilli inchiodati da legno, metallo,

stracci, le bretelle sono tre ombrelli,
un elicottero a pedali. Icaro schizofrenico
si lancia, impara come si decolla,

impara come si cade. Così è per lui amare,
la fede, il salto oltre il dirupo –
il cuore si erge verso il cielo. Lui giura

il suo successo, arriva a cinquanta metri sulla vallata.
Niente testimoni.
Si solleva, volteggia, più pesante dell'aria,
etereo.

Il Vecchio Barbuto

Quando Viracocha emerse dalle acque del lago,
quando nulla esisteva, se non l'oscurità,
lui inventò il sole, così che uomini e donne
potessero vedersi più chiaramente,
e vivere senza più litigare, o commettere errori

e quando il sole solcò il cielo,
decise che le persone dovevano fare l'amore
alla luce; si stropicciarono gli occhi
uscendo dalle caverne, dai laghi e dalla terra,
dove li aveva nascosti, vite che hanno portato

a te, e a me, stesi qui, appena inumiditi,
gli occhi attenti ad ogni sfumatura,
respiriamo all'unisono, quel respiro che,
tanto tempo fa, fu lui ad infondere alle pietre,
prima di andarsene,
quell'uomo barbuto, verso ovest, oltre il mare.

Caterina Roversi è nata a Bologna nel ’92. Studentessa di Scienze Politiche con una passione per la poesia e la traduzione letteraria e televisiva dall’inglese. Collabora dal 2014 col sito di traduzione e sottotitolaggio italiansubs.net.

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